INAMMISSIBILITA’ DEL CONCORDATO A SEGUITO DELL’APERTURA DELLA PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE CONTROLLATA

Si dà conto di una recente pronuncia del Tribunale di Milano del 23 luglio 2024, che ha stabilito l’inammissibilità di una proposta di concordato all’interno, ed a seguito dell’apertura, di una procedura di liquidazione controllata, trovando tale proposta applicazione esclusivamente nell’ipotesi in cui sia stata aperta una procedura di liquidazione giudiziale nei confronti, necessariamente, di un imprenditore “maggiore”, a sensi dell’art. 240 c.c.i.i.; peraltro, quand’anche il sovraindebitato fosse un imprenditore commerciale minore, ugualmente non si potrebbe giungere ad un’applicazione analogica dell’istituto del concordato nella liquidazione controllata in quanto la mancata previsione normativa di tale possibilità costituisce indice significativo della volontà del legislatore di non consentire, in generale, ai sovraindebitati di risolvere la propria crisi attraverso questo strumento.

Come detto infatti, tale istituto è espressamente previsto solo nel contesto della liquidazione giudiziale, con una regolamentazione sostanzialmente sovrapponibile a quella prevista per il concordato fallimentare ex artt. 124 e ss. l.fall., mentre viceversa la disciplina in materia di liquidazione controllata appare lacunosa e mancando una disposizione generale che preveda l’applicazione delle norme sulla liquidazione giudiziale in quanto compatibile (a differenza di quanto previsto per il concordato minore, ex art. 74, co. 4, CCII), gli sforzi degli interpreti sono tesi a delineare l’ambito di una possibile interpretazione analogica di questa o quella disposizione prevista per la liquidazione giudiziale al fine di colmare le lacune che di volta in volta vengono in rilievo nel contesto della liquidazione controllata.

Il Tribunale di Milano ha quindi, ritenuto che un tale procedimento analogico, non potesse essere perseguito in quanto gli strumenti di regolazione della crisi costituiscono un numero chiuso e non è consentito, attraverso operazioni di innesto, crearne di nuovi.

Inoltre, il concordato nella liquidazione giudiziale presenta costi, quali la nomina di un Esperto, necessaria nel caso di degrado dei prelatizi, che potrebbero risultare eccessivi nel contesto di una procedura priva di consistenti attivi; alcuni passaggi procedimentali, poi, quali il previo vaglio del comitato dei creditori, sarebbero semplicemente impossibili da realizzare, e surrogabili solo con un’evidente forzatura del dettato normativo, in quanto, per definizione, nella liquidazione controllata non esiste alcun comitato dei creditori e il Giudice esercita sempre i propri poteri in quanto tale e non in sostituzione di un comitato inesistente; ancora, anche la figura del liquidatore non è esattamente sovrapponibile a quella del curatore, principiando dal diverso elenco e albo a cui devono essere iscritti tali professionisti ai fini della nomina, ma soprattutto considerando la diversa ampiezza sostanziale dei loro rispettivi poteri e funzioni.

Concludendo, il Tribunale ha ritenuto che la pretesa lacuna normativa ravvisata nell’assenza di una disciplina del concordato nella liquidazione controllata fosse da ascrivere, comunque, ad una precisa volontà del legislatore, che non ha inteso concedere questo strumento ai soggetti che si trovino in condizione di sovraindebitamento e, di qui, l’inammissibilità della domanda concordataria colà proposta.

 Si rammenta infine che le norme disciplinanti il concordato nella liquidazione giudiziale (tra cui appunto, l’art. 240 CCII) sono state oggetto di modifiche per effetto del c.d. correttivo di cui a d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136, ma il quadro normativo così come interpretato ed applicato dal Tribunale Milanese con il precedente in comento non è, per questo tema, mutato.