GLI ACCORDI RELATIVI AI TRASFERIMENTI IMMOBILIARI IN SEDE DI SEPARAZIONE POSSONO ESSERE OGGETTO DI REVOCATORIA?
Gli accordi di separazione devono avere necessariamente un contenuto essenziale, che può essere affiancato da un contenuto eventuale, a seconda dei casi.
Il contenuto essenziale è dato dalla volontà dei coniugi di non volere più proseguire la vita matrimoniale insieme, e può avere ad oggetto la gestione e l’affidamento della prole o il contributo al mantenimento dei figli e del coniuge che versa in difficoltà economiche/patrimoniali tali da non potere provvedere autonomamente al proprio sostentamento. Detti accordi possono essere passibili di modifica e/o di revoca in ogni tempo, qualora ricorrano giustificati motivi, su istanza congiunta ovvero di una sola delle parti.
Gli eventuali accordi accessori alla separazione possono riguardare, invece, la regolamentazione di altri rapporti patrimoniali intercorrenti tra i coniugi, che questi ultimi intendono definire con la separazione, tra le quali può rientrare anche il trasferimento della piena proprietà di un immobile (per l’intero o pro quota) o la costituzione un diritto reale c.d. “minore” (come ad esempio il diritto di abitazione). Tali accordi non possono essere suscettibili di modifica a sensi dell’art. 473 bis.29 c.p.c..
Tuttavia, una recente sentenza della Suprema Corte ha stabilito che “l’accordo tra coniugi avente ad oggetto un trasferimento immobiliare, anche nell’ambito di un procedimento di separazione giudiziale, è soggetto alle ordinarie impugnative negoziali a tutela delle parti e dei terzi, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo ha recepito, spiegando quest’ultima efficacia meramente dichiarativa, come tale non incidente sulla natura di atto contrattuale privato del suddetto accordo” (Cass. n. 26127/2024).
Il caso riguardava un Istituto di credito che aveva ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti del marito, fideiussore di una società, e dunque conveniva in giudizio quest’ultimo e la moglie, chiedendo la declaratoria di inefficacia ai sensi dell’art. 2901 c.c. del verbale di separazione con il quale si era proceduto, in particolare, al trasferimento di una quota dell’immobile in favore della moglie stessa.
La Banca creditrice sosteneva che il trasferimento avesse natura gratuita e che, pertanto, potesse essere revocato senza necessità di dimostrare la consapevolezza, in capo alla moglie, della lesione della garanzia patrimoniale dovuta dal marito alla creditrice stessa.
Il marito, ricorrente, rilevava invece, in primis che l’atto di trasferimento non aveva natura gratuita, ma era un atto dovuto in forza di obblighi di mantenimento derivanti dalla sentenza di separazione; in secondo luogo, lo stesso sosteneva il difetto di legittimazione ad causam da parte della creditrice, rilevando che il diritto di credito vantato non poteva essere fatto valere per contrastare un accordo di separazione omologato.
Al riguardo la Corte di Cassazione ha ritenuto di dover differenziare l’atto di natura gratuita da quello di natura onerosa, per cui “l’onerosità dell’attribuzione non può farsi discendere tout court dall’astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento, ma può emergere dall’esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato da un coniuge al ménage e non adeguatamente rappresentato dalla situazione patrimoniale formalmente in essere fino al momento della separazione”.
Nel caso di specie, l’istruttoria esperita innanzi al Giudice di merito, la Corte d’Appello di Genova aveva dimostrato che il trasferimento dell’immobile non aveva funzione solutoria, escludendo quindi l’onerosità dell’atto dispositivo in sede di separazione; conseguentemente riteneva legittimo il diritto del creditore di esperire l’azione revocatoria, in quanto arrecava appunto un pregiudizio alle sue ragioni.
Già in precedenza la Corte di Cassazione aveva ritenuto che “spetta dunque al giudice del merito, investito della domanda di inefficacia dell’atto dispositivo svolta da un terzo creditore ai sensi dell’art. 2901 c.c. (o, come nella specie, dal fallimento del coniuge disponente, ai sensi dell’art. 64 l. fall. ), di accertare, in concreto, se l’attribuzione del cespite debba ritenersi compiuta a titolo oneroso od a titolo gratuito. E tale accertamento, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, sfugge al sindacato di legittimità” (Cass. 8678/2013).
La Suprema Corte ha quindi ribadito che la revocatoria non ha ad oggetto gli accordi patrimoniali convenuti genericamente in sede di separazione, ma il singolo atto patrimoniale lesivo delle ragioni creditorie, che legittima dunque l’esperimento dell’azione.