ABUSIVO IL MANTENIMENTO DA PARTE DELLA BANCA DI UNA LINEA DI CREDITO IN FAVORE DI UNA SOCIETA’ IN STATO DI DECOZIONE
Il Tribunale di Ferrara, con decreto del 3 maggio 2024, si è pronunciato in materia di concessione abusiva di credito, nello specifico caso, nell’ambito di una opposizione allo stato passivo promossa da un istituto bancario avverso il provvedimento del Giudice Delegato che aveva escluso un credito ipotecario dell’istituto stesso, ritenendo nullo il finanziamento che lo originava, concesso tramite apertura di credito ad una società in difficoltà economica e priva di concrete prospettive di superamento della crisi.
L’istruttoria espletata dal Tribunale, tramite consulenza tecnica d’ufficio, consentiva di appurare che, al momento della concessione degli affidamenti, l’impresa versava già in stato di decozione e che la Banca, con l’operazione posta in essere, aveva in realtà solo trasformato il suo credito da chirografario ad ipotecario, ottenendo garanzie reali da parte dell’impresa e dei suoi soci.
Lo stato di decozione permaneva ed anzi peggiorava per il costante aumento del debito erariale favorito dalla continuazione d’impresa (che si era risolta a non pagare i debiti fiscali e previdenziali per fronteggiare la riduzione e la revoca delle varie linee di credito concessele), pur in costanza dei rinnovi concessi dalla Banca opponente; il Tribunale, pertanto, in aderenza ad una parte della giurisprudenza (Trib. Vicenza, decr. 19 maggio 2022 e Trib. Torino, decr. 4 ottobre 2022) richiamata nella motivazione del provvedimento, accertava la nullità del contratto di finanziamento per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c. in quanto appunto se il contratto di credito è stipulato o mantenuto in essere (attraverso una proroga della durata), in presenza di indici riconoscibili di insolvenza dell’imprenditore, ciò che di norma contribuisce a ritardarne il fallimento e ad aggravarne il dissesto, il negozio deve considerarsi appunto nullo, sussistendo, in tal caso, un’ipotesi di concessione abusiva di credito.
Di conseguenza, il credito della Banca in forza di un contratto nullo non può essere ammessa al passivo, anche considerato il fatto che, secondo il Tribunale, anche ove non possa configurarsi la predetta nullità, è comunque irripetibile l’erogazione di una somma ai sensi dell’art. 2035 c.c. quando contraria al buon costume, intendendosi con tale accezione non soltanto quelle condotte che contrastano con le regole della morale sessuale o della decenza, ma anche quelle che non rispondono ai principi e alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico, dovendosi pertanto ritenere contraria al buon costume, e come tale irripetibile, an che l’erogazione di somme di denaro in favore di un’impresa già in stato di decozione integrante un vero e proprio finanziamento.
Significativo, secondo il Tribunale, è pure il fatto il finanziatore può essere chiamato a rispondere, a titolo di concorso, del reato di bancarotta semplice ex art. 217 co. 1 n. 4 l.f. ove, concedendo credito pur in presenza di indici riconoscibili dell’insolvenza della società, abbia contribuito ad aggravarne il dissesto e ritardarne il fallimento, come nel caso accertato dal Tribunale.
In conclusione, in presenza di circostanze che avrebbero giustificato il recesso della Banca dal contratto di affidamento, può considerarsi abusivo il credito concesso al cliente attraverso il mantenimento della linea di credito, in tal modo consentendo la prosecuzione dell’attività aziendale e l’aumento esponenziale del debito erariale, tanto più quando il motivo del mantenimento della linea di credito può essere individuato dalla acquisizione da parte della Banca di una garanzia reale ottenuta a scapito di altri creditori.