ATTI DEL PROPRIETARIO LOCATORE SUL BENE IN PENDENZA DI PROCEDURA ESECUTIVA

La controversia sottoposta all’esame della Corte di Cassazione (decisa il 5 giugno 2024 con Sent. n. 15678) intercorre tra le parti di un contratto di locazione in cui il bene locato è oggetto di una procedura esecutiva. La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla gestione ed amministrazione del bene pignorato ed in particolare sulla possibilità per il locatore di compiere atti sul bene (in particolare comunicando al conduttore il diniego di rinnovo) diversi o incompatibili con quelli adottati dal custode giudiziario (che aveva già precedentemente comunicato il recesso in relazione ad una diversa scadenza).

La Cassazione ribadisce che solo al custode è attribuibile la legittimazione sostanziale a richiedere sia il pagamento dei canoni sia l’amministrazione e la gestione del bene (Cass. n. 8695/2015). A tale conclusione la Suprema Corte addiviene in virtù: del quadro normativo in materia di gestione e amministrazione del bene pignorato: l’art. 65 c.p.c. afferma che la conservazione e l’amministrazione dei beni pignorati e sequestrati sono affidati ad un custode; l’art. 560, comma 2, c.p.c. vieta al debitore e al terzo nominato custode di dare in locazione l’immobile pignorato se non previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione; dalla considerazione per cui se il proprietario-locatore è nominato custode è legittimato a promuovere le azioni solo in qualità di custode (Cass. n. 13587 del 2011) poiché dopo il pignoramento muta il titolo del possesso da parte del locatore che diventa ausiliario del giudice; per altro la nomina del locatore a custode è circostanza eccezionale: il giudice nomina una persona diversa, ai sensi dell’art. 559 c.p.c. nella versione ante riforma Cartabia, quando ne faccia istanza uno o più creditori o l’immobile non sia occupato dal debitore, il che rappresenta la regola nella fase liquidativa laddove la custodia dei beni è attribuita ad un istituto autorizzato ex art. 534 c.p.c.; del rilievo sistematico per cui la ratio sottoposta alle regole preposte alla gestione del bene pignorato consiste nell’asservire il sistema alle esigenze della procedura esecutiva affidando ai suoi organi la gestione del rapporto locativo; delle norme in materia di diniego di rinnovo alla prima scadenza del contratto di locazione (art. 29 della l. n. 392/1978) che presuppongono il pieno potere di disporre del bene, potere sottratto al locatore in pendenza della procedura esecutiva ed attribuito agli organi della stessa; del rilievo per cui non può considerarsi l’attività del locatore compiuta in qualità di falsus procurator del soggetto legittimato(artt. 1398 e 1399 c.c.) giacché il diniego di rinnovo è stato da lui realizzato in nome proprio e non con la spendita del nome del soggetto legittimato (Cass. n. 2292/1971).

In tale prospettiva è stato precisato che il proprietario-locatore di un immobile pignorato, che ne sia stato nominato custode, è legittimato a promuovere le azioni scaturenti dal contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile stesso solo nella sua qualità di custode e non in quella di proprietario locatore, essendo il bene a lui sottratto per tutelare le ragioni del terzo creditore; con la conseguenza che, se nell’atto introduttivo del giudizio il proprietario locatore non abbia speso la suddetta qualità, la domanda va dichiarata inammissibile (Cass. 21/06/2011, n. 13587).

Invero, dopo il pignoramento, pur permanendo l’identità del soggetto, muta il titolo del possesso da parte del proprietario-locatore e debitore, in quanto ogni sua attività costituisce conseguenza del potere ex art. 559 cod. proc. civ. di amministrazione e gestione del bene pignorato, di cui egli continua ad avere il possesso solo in qualità di organo ausiliario del giudice dell’esecuzione (v. Cass. n. 8695 del 2015, cit.).

Pertanto, non vi è spazio ad atti di gestione posti in essere dal proprietario-locatore se non nelle vesti di custode

La Suprema Corte distingue poi tra atti dispositivi, che soggiacciono alla regola dell’inefficacia relativa, quindi, possono esplicare i loro effetti se si estingue la procedura poiché non sono strutturalmente invalidi; e atti di gestione (come la disdetta o il recesso) che possono produrre effetti solo se sono realizzati in funzione degli scopi della procedura e da organi a ciò legittimati. Da ciò discende che se sono compiuti al di fuori di questo contesto, come avviene nel caso del locatore non custode che nega il rinnovo, devono considerarsi tamquam non esset e che il conduttore è legittimato a far valere tale inefficacia.

In conclusione dunque del proprio iter argomentativo la Corte ha precisato che “gli atti di gestione del rapporto locativo ad uso diverso – quali devono considerarsi sia la registrazione tardiva del contratto, sia il diniego di rinnovo alla prima scadenza ex art. 29 legge n. 392 del 1978 – posti in essere, nella pendenza della procedura esecutiva, dal debitore esecutato non nella qualità di custode o senza previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, sono radicalmente improduttivi di effetti nei confronti della procedura e dello stesso conduttore e tali rimangono anche qualora la procedura esecutiva si estingua, per causa diversa dalla vendita forzata dell’immobile, anteriormente alla prima scadenza del rapporto“.