DOMANDA RICONVENZIONALE E MEDIAZIONE: IL PUNTO DELLE SEZIONI UNITE

Con la sentenza n. 3452 del 7 febbraio 2024, la Corte Suprema ha avuto modo di pronunciarsi su un aspetto non ancora chiarito nell’ambito della mediazione, ovvero il rapporto di quest’ultima, quando costituisce condizione di procedibilità, e la domanda riconvenzionale.

La massima enunciata dalle Sezioni Unite chiarisce che “la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 sussiste per il solo atto introduttivo del giudizio e non per le domande riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al giudice di esperire il tentativo di conciliazione, per l’intero corso del processo e laddove possibile”.

In effetti, la questione di diritto posta con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale ha messo in luce un aspetto della procedura di mediazione che il legislatore, nonostante le significative modifiche apportate da ultimo con la riforma c.d. Cartabia al d.lgs. 28 del 2010, non aveva chiarito; in particolare, è stato chiesto alla Suprema Corte di chiarire se sussista l’obbligo di procedere alla mediazione nel caso di proposizione di una domanda riconvenzionale, ove la mediazione sia già stata ritualmente effettuata, anteriormente alla prima udienza, in relazione alla sola domanda principale.

La Suprema Corte in composizione allargata ha pertanto avuto modo di risolvere la quaestio iuris ponendo l’accento sulla possibile, diversa natura delle domande riconvenzionali, ed in particolare differenziando quelle collegate all’oggetto della lite e quelle ad esso “eccentriche”.

Nel primo caso, la mancata sottoposizione della riconvenzionale alla condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria si giustifica con il fatto che il tentativo di mediazione, già esperito prima dell’introduzione del giudizio o nel termine concesso dal Giudice, ha avuto esito negativo: “onde la condizione di procedibilità è soddisfatta e la lite pende ormai innanzi ad un giudice, che ne resta investito”. E infatti, le Sezioni Unite ricordano che la mediazione obbligatoria si collega non alla domanda sic et simpliciter, ma al processo, che ormai è pendente, per cui, dal momento che la causa insorta, la funzione dell’istituto viene meno, non avendo avuto l’effetto di prevenzione per la instaurazione del processo.

Quanto al secondo caso, delle riconvenzionali c.d. eccentriche, la Cassazione ricorda come queste allarghino l’oggetto del giudizio senza connessione con quello già introdotto da parte attrice. Pertanto, in aggiunta alla ratio deflattiva del contenzioso già richiamata con riferimento alle domande riconvenzionali non “eccentriche”, si richiama anche il principio di certezza del diritto, che “si oppone alla causazione di ulteriore contenzioso sul punto, e quello della ragionevole durata del processo”. Del resto, la Corte Costituzionale aveva già chiarito che la mediazione obbligatoria non viola il diritto di azione, sancito dalla Costituzione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il risultato deflattivo, senza mai divenire tale da provocare uninutile prolungamento dei tempi del giudizio, e la Corte di GiustiziaEuropea ha escluso che il tentativo obbligatorio di conciliazione confligga col diritto comunitario, “rimarcando come la conseguente restrizione ai diritti fondamentali degli utenti sia legittima, in quanto tesa al perseguimento di obiettivi di interesse generale e non sproporzionata rispetto a questi ultimi”.

La mediazione obbligatoria, come ricordano le Sezioni Unite, svolge un ruolo proficuo solo se non si presta ad eccessi o abusi; e la stessa mediazione, più che accertamento di diritti, è “contemperamento di interessi“, caratterizzata da semplicità di forme e rapidità di trattazione, anche senza verifiche fattuali, e può essere quindi considerata come una sorta di “esperimento” finalizzato ad un accordo negoziale, che va certamente tentato, nella prospettiva assunta dal legislatore, ma prima di intraprendere la causa in funzione di scongiurare la originaria iscrizione a ruolo, e che non avrebbe senso diluire e prolungare oltre misura.

Ragionando a contrario, e cioè seguendo sino alle sue ultime conseguenze la tesi (ormai nomofilatticamente respinta) per la quale la domanda riconvenzionale dovrebbe essere soggetta a mediazione obbligatoria, si dovrebbe estendere la stessa ratio a tutte le domande proposte in giudizio che siano diverse ed ulteriori rispetto a quella inizialmente introdotta dall’attore, includendo dunque la c.d. reconventio reconventionis, la domanda proposta da un convenuto verso l’altro, oppure da e contro terzi interventori, volontari o su chiamata, con una evidente rischio di inutile proliferazione di procedimenti di mediazione che non hanno ragionevole prospettiva di condurre alla conciliazione della lite, e quindi con perdita della funzione deflattiva del contenzioso dell’istituto, oltre che di tempo e di risorse del processo civile.