ALCUNE RIFLESSIONI SULL’ESTENSIBILITA’ DEI LIMITI DI CUI ALL’ART. 33 c.c.i.i. ALLA LIQUIDAZIONE CONTROLLATA
Con lo scopo d’indagare di caso in caso l’estensibilità della normativa prevista in materia di liquidazione giudiziale alle altre procedure introdotte dal nuovo c.c.i.i., ci soffermiamo sulla previsione di cui all’art. 33 e precisamente all’estensibilità – o meno – dei limiti ivi previsti, alla richiesta d’apertura della liquidazione controllata del debitore di cui ai successivi artt. 268 c.c.i.i. e seguenti, prendendo spunto da un recente provvedimento del Tribunale di Modena, Sez. III, Giudice est. Dott. Carlo Bianconi.
Nel caso che ha occupato i Giudici modenesi, gli stessi hanno rigettato la richiesta d’apertura di una liquidazione controllata, proposta da alcuni creditori nei confronti di una società cancellata dal Registro delle imprese alla fine del 2017; detti creditori invero, documentando il proprio credito per compensi professionali nei confronti della società cessata ed allegando che detta società aveva recentemente beneficiato di una sopravvenienza di attivo per aver ricevuto poco tempo prima due assegni circolari, chiedevano aprirsi la procedura di liquidazione controllata stante la preclusione – prevista a detta dei ricorrenti per la sola liquidazione giudiziale – di cui all’art. 33 c.c.i.i., essendo decorso l’anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.
Rigettando invece il ricorso, i Giudici modenesi estendevano, pur nel silenzio del legislatore, i limiti di tempo fissati dal suddetto art. 33 anche alla liquidazione controllata, alla luce del principio generale dettato dall’art. 65 c.c.i.i., che consente di applicare la disciplina della liquidazione giudiziale, ove compatibile, anche alle altre procedure concorsuali tra cui senz’altro alla procedura che occupa.
L’art. 33 invero si occupa di individuare il momento della “cessazione dell’attività” al verificarsi del quale, ha inizio il termine di un anno per provvedere al deposito della richiesta d’apertura della liquidazione giudiziale (la sola alla quale, la norma in effetti, fa espresso riferimento).
Ebbene si dice che, se per gli imprenditori con gli obblighi formali di cui all’art. 2195 c.c. detto momento coincide con la cancellazione dal Registro delle Imprese, per coloro che sono sottratti a tali incombenti formali, il momento coincide con l’avvenuta conoscenza, da parte dei terzi, della cessazione dell’attività, facendo salva comunque – alla luce del principio d’effettività – la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività ove non coincidente con il dato formale d’avvenuta cancellazione dell’impresa dal Registro.
Il Tribunale, nella decisione in esame, ancorando al dato formale della cancellazione – avvenuta nel 2017 – del soggetto passivo dal Registro delle Imprese, rigettavano il ricorso statuendo che, poiché la società era stata cancellata nel 2017, stante il disposto di cui all’art. 33, seppure dettato in materia di liquidazione giudiziale, la domanda di apertura della liquidazione controllata non fosse più ricevibile.
Quanto deciso consente brevissime considerazioni sulla liquidazione controllata con riferimento alla natura dei soggetti che possono accedervi, al fine di valutare l’opportunità o meno della soluzione assunta dai Giudici modenesi, di estendere a quest’ultima la previsione di cui all’art. 33 sopra citato e, in caso di risposta affermativa, in che modo.
Sebbene in effetti nel caso specifico il ricorso al dato formale potrebbe apparire legittimo – anche se superato dalla sopravvenienza di un fatto nuovo, come la ricezione dei due assegni – e ciò alla luce della circostanza che in effetti, quella società, al Registro delle Imprese, una volta era pur sempre iscritta, non può non essere affrontata anche l’ipotesi di un’attività non soggetta ad iscrizione allorquando la sopravvenienza di un attivo sottenda in realtà un centro d’interessi ancora vivo.
La liquidazione controllata invero ingloba – dal lato passivo – una serie di legittimati passivi soggettivamente più ampia della liquidazione giudiziale, individuata dall’art. 268 c.c.i.i. nei consumatori, nei professionisti, negli imprenditori agricoli ed in generale in ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale che si trovi in stato di crisi o di insolvenza.
Ebbene appare chiaro che tra i soggetti appena elencati non vi sia obbligo generale di iscrizione dell’attività al Registro delle Imprese (non essendovi coincidenza tra il citato 268 e l’art. 2195 cc.) e pertanto non si possa fare sempre ricorso al dato formale ma sia necessario indagare, di volta in volta, anche eventuali indici di effettiva prosecuzione dell’attività economica.
Pertanto se nel caso che occupa il prevalere del dato formale su quello effettivo può essere giustificato dalla presenza necessaria del primo (avendo avuto, la destinataria della domanda, obbligo d’iscriversi e quindi di cancellarsi dal registro delle imprese), lo stesso non può dirsi ove detto obbligo fosse stato ab origine escluso; ipotesi questa, in cui a prevalere sarebbe il dato effettivo del permanere di un centro economico d’interessi (evincibile, perché no, anche dalla mera ricezione di una somma di danaro).
Ad avviso di chi scrive – e senza pretesa di risolvere la questione – occorrerebbe, volendo estendere l’applicazione dell’art. 33 c.c.i.i. anche all’apertura della procedura in esame, conformarne l’interpretazione alla luce dell’art. 3 cost. e dunque far prevalere in ogni caso, anche in presenza del dato formale, quello effettivo – ove sopraggiunto – in quanto l’unico, comune, a tutti i destinatari della normativa in esame.