I LIMITI ALL’ACCESSO AI FASCICOLI TELEMATICI IN MATERIA DI AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
In materia di Amministrazione di Sostegno sono note le cautele che gli operatori del settore pongono in essere per tutelare il diritto alla riservatezza della persona soggetta alla misura; tali cautele regolamentano tutta la vita della misura, dal deposito del ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno, alla chiusura della procedura stessa.
Si pensi innanzitutto ai provvedimenti che vengono emessi dal Giudice Tutelare; questi sono comunicati all’Amministratore di Sostegno per il tramite del fascicolo telematico (quindi mediante posta elettronica certificata e Consolle Avvocati), ma non possono essere divulgati se non per stralcio. Lo stesso provvedimento di nomina, che l’Amministratore di Sostegno deve produrre ai terzi per dare atto del proprio ruolo, non può essere comunicato nella sua versione integrale, ma viene solitamente “stralciato”, ovvero l’Amministratore di Sostegno deve avere cura di eliminare tutti i dati sensibili o comunque i riferimenti alla vita e allo stato di salute del beneficiario, non essendo possibile per i terzi destinatari del provvedimento conoscere i dati sensibili dell’amministrato (solitamente sanitari), nonché le ragioni che hanno portato all’adozione della misura.
Ancora, si pensi ai provvedimenti di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione: l’Amministratore di Sostegno presenta al Giudice Tutelare un’istanza motivata per poter essere autorizzato a compiere determinati atti (ad esempio vendere o acquistare un immobile, investire delle somme di denaro, accettare un’eredità…) ma, una volta ottenuto il provvedimento, l’istanza può non venire comunicata nella sua interezza ai terzi (che nel caso di specie possono essere gli istituti di credito o i Notai). I singoli provvedimenti, poi, assumono un numero di subalterno e vanno a costituire una sorta di “sotto-fascicolo telematico” che, a sua volta, rimane estraneo al fascicolo principale a cui viene attribuito un R.G..
La tutela della riservatezza dei beneficiari della misura di amministratore di sostegno, dunque, in linea generale, consente solo al primo e al Giudice Tutelare di poter avere accesso a tutte le informazioni del beneficiario. Possono esserci solo rare eccezioni, per esempio nel caso di nomina di un Ausiliario del Giudice Tutelare nella verifica dei rendiconti, come per esempio avviene presso il Tribunale di Bologna in forza del protocollo di intesa sottoscritto il 1° febbraio2022 tra l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bologna e il Tribunale Ordinario di Bologna per l’attuazione del progetto relativo alla revisione dei rendiconti di tutele, curatele ed amministrazioni di sostegno presso il Tribunale di Bologna (Prot. 7 febbraio 2022 n.318 Tribunale Bologna); ma anche in questi casi, gli Ausiliari hanno accesso al solo fascicolo principale della misura e non anche ai sub-procedimenti.
Ma cosa accade quando l’interesse del beneficiario si scontra con un interesse di un terzo? Può una persona estranea al procedimento avere accesso ai dati contenuti nel fascicolo (ora telematico) dell’amministrazione di sostegno?
La risposta a queste domande ha dato vita, nel corso degli ultimi anni, a un nutrito dibattito tra quanto previsto e regolamentato dal d.lgs. n. 196/2003, dal codice di rito e quanto previsto dalle prassi dei diversi Tribunali.
Alcuni Tribunali hanno infatti adottato dai regolamenti interni per tentare di risolvere le problematiche insorte nei fascicoli telematici delle amministrazioni di sostegno (si cita per esempio l’ordine di servizio del 23 aprile 2018 emesso dal Presidente della sezione Famiglia del Tribunale di Genova, d’intesa con i Giudici Tutelari); altri Tribunali, invece, hanno preferito adottare una linea più rigorosa (come il Tribunale di Bologna) per l’orientamento dei Giudici Tutelari è quello di concedere – se del caso – unicamente l’accesso ai rendiconti depositati e approvati ai sensi dell’art. 386 c.c..
In questi ultimi casi si richiama il combinato disposto degli artt. 2 duodecies e 51 d.lgs. 196/2003 e ss.modd. che rimanda, per quanto attiene all’accesso ad atti e documenti giudiziali, alle disposizioni processuali, con conseguente applicabilità della sola normativa civilistica e processualcivilistica e non anche dell’art. 2 terdecies del medesimo d.lgs.; secondo tale interpretazione, i dati personali raccolti nella procedura giudiziaria devono essere trattati nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali (art. 2 d.lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196); anche il beneficiario della amministrazione di sostegno, in effetti, ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano (art. 1 d.lgs. 196/2003). Conseguentemente, in forza della predetta normativa, l’accesso ai dati del beneficiario, secondo l’orientamento appunto più rigoroso, dovrebbe riservato al solo amministratore di sostegno (ed al solo fine dell’esercizio della funzione pubblicistica a lui assegnata) mentre ne è vietata la divulgazione a terzi; peraltro, evidenziano alcuni Tribunali come per i dati attinenti alle condizioni di salute (ossia per i “dati sensibili” che costituiscono la componente spesso maggioritaria nei procedimenti di amministrazione di sostegno), l’ostensione a terzi è vietata in ogni caso.
Come anticipato, tale linea di principio non solo vige per tutto il periodo in cui il beneficiario è in vita, ma dopo la sua morte. È interessante osservare, infatti, come alcuni Tribunali neghino la visibilità dei fascicoli di amministrazione di sostegno (e dunque dei dati in esso contenuti) anche agli eredi del beneficiario stesso.
L’orientamento del Tribunale di Bologna è quello di ritenere che, appunto anche a seguito del decesso del beneficiario della misura di amministrazione di sostegno,non si possano applicare le norme sull’accesso agli atti amministrativi né le norme sul trattamento dei dati personali, ma solo le disposizioni del codice di procedura civile e che, pertanto, per un verso i prossimi congiunti non siano soggetti legittimati a visionare o estrarre copia di atti e documenti della procedura e, per altro verso, esclusivamente gli eredi o chiamati all’eredità siano legittimati a prender visione dei soli rendiconti e del rendiconto finale.
Altri Tribunali, come appunto si citava il protocollo in vigore presso il Tribunale di Genova, invece, riconoscono la facoltà ai terzi che vogliano accedere agli atti del procedimento di amministrazione di sostegno di depositare apposita motivata e documentata istanza finalizzata a provare l’esistenza di un interesse reale ed attuale a vedere gli atti (come, appunto, per il caso degli eredi dopo la morte del beneficiario).
Effettivamente, l’art. 2 terdecies d.lgs. n. 196/2003 e ss.mm. prevede espressamente che “i diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione. 2. L’esercizio dei diritti di cui al comma 1 non è ammesso nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, l’interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest’ultimo comunicata. 3. La volontà dell’interessato di vietare l’esercizio dei diritti di cui al comma 1 deve risultare in modo non equivoco e deve essere specifica, libera e informata; il divieto può riguardare l’esercizio soltanto di alcuni dei diritti di cui al predetto comma. 4. L’interessato ha in ogni momento il diritto di revocare o modificare il divieto di cui ai commi 2 e 3. 5. In ogni caso, il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonchè del diritto di difendere in giudizio i propri interessi”.
Lo stesso art. 51 d.lgs. n. 196/2003 prevede che “1. Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni processuali concernenti la visione e il rilascio di estratti e di copie di atti e documenti, i dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado sono resi accessibili a chi vi abbia interesse anche mediante reti di comunicazione elettronica, ivi compreso il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet”; e ancora, l’art. 52, ultimo comma stabilisce che: “Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali”.
Sembra quindi che il legislatore nazionale – al fine di individuare il fondamento delle limitazioni applicabili alla diffusione, integrale o parziale, delle pronunzie giudiziarie – abbia disciplinato la materia dei dati personali distinguendo il profilo del trattamento dei dati personali da parte degli Organi di Giustizia (l’art. 2 duodecies del d.lgs. n. 196/2003, così come integrato dal d.lgs. n. 101/2018) da quello relativo alla divulgazione all’esterno, per finalità di informazione e di informatica giuridica, del contenuto dei provvedimenti giurisdizionali, di cui agli artt. 51 e 52 dei medesimi decreti (sul punto, cfr. A. Centonze, Il diritto alla riservatezza e la tutela dei dati personali nei provvedimenti giurisdizionali della Corte di cassazione, in questa rivista www.giustiziainsieme.it); dove per “limitazioni per ragioni di giustizia” debbano intendersi “i trattamenti di dati personali correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie, i trattamenti effettuati in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, nonché i trattamenti svolti nell’ambito delle attività ispettive su uffici giudiziari”.
Anche considerando le norme del codice di rito, va precisato in generale che le stesse sono volte a tutelare il diritto di difesa dei successori a titolo universale della parte processuale colpita da un evento come la morte (ma anche di minore entità, come la perdita della capacità di agire), sia pure contemperandolo, nei procedimenti contenziosi, con quello delle controparti alla sollecita definizione della lite, e non già a comprimerlo; si potrebbe pertanto ritenere evidente che in tanto un diritto di difesa può essere utilmente esercitato in quanto colui al quale spetta può acquisire le informazioni necessarie a tale esercizio.
Peraltro, secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione “è legittimo l’accesso ai dati di un terzo, senza il consenso dell’interessato, per far valere o difendere un diritto in giudizio, purché: a) il trattamento avvenga esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento e b) riguardi esclusivamente i dati pertinenti alla tesi difensiva” (Cass. civ. n. 39531 del 13 dicembre 2021).
Dunque, ci si chiede (ed effettivamente ad oggi non si ha ancora una risposta univoca) se vi possa essere, in materia di amministrazione di sostegno, un’apertura volta a consentire a poter accedere ad alcuni dati contenuti nel fascicolo del procedimento, soprattutto laddove il richiedente motiva ed esprime un suo legittimo interesse a tal fine, oppure se la materia dell’amministrazione di sostegno debba rimanere una rigorosa eccezione proprio al fine di tutelare la riservatezza del beneficiario, anche dopo la sua morte.