LA RILEVANZA DELL’USURARIETA’ SOPRAVVENUTA NELL’ESECUZIONE DEL CONTRATTO

In linea con il trend al quale, con la decisione del 18 settembre 2020, le Sezioni Unite hanno dato origine con sentenza n. 19597, la terza sezione quest’anno, con la decisione n. 27545, si pronuncia a favore della tutela del debitore nell’esecuzione del contratto di finanziamento.

Orbene, se nel summenzionato arresto del 2020 si era dato rilievo alla estensibilità della fattispecie di cui all’art. 1815, comma 2 c.c. anche agli interessi moratori oltre a quelli legali, con la recente pronuncia n. 27545/23 la Corte ha stabilito che, pure per l’ipotesi sopravvenienza del tasso usurario, prima d’oggi indifferente all’ordinamento ove lo stesso tasso fosse stato originariamente calcolato nei perimetri di legge, debba sopravvenire l’intervento sanzionatorio previsto dalle disposizioni normative.

Entrambe le pronunce, di cui infra si distinguerà l’ambito operativo, hanno il pregio di dar seguito – rationes legis – ai principi sottesi alla disciplina antiusura (quali la tutela del fruitore del finanziamento, la repressione della criminalità economica, la direzione del mercato creditizio e la stabilità del sistema bancario) ed in particolare all’esigenza di piena tutela del soggetto debitore, dapprima mediante l’estensione, come anticipato, della disciplina antiusura agli interessi moratori, quindi all’usura sopravvenuta nel calcolo dei tassi d’interesse così mostrando di abbracciare la tesi estensiva che vuole anche il sopraggiunto superamento del tasso d’interesse legale, assoggettato alla normativa antiusura.

Per le Sezioni Unite dapprima, quindi per la terza sezione nel settembre del 2023, sussiste l’esigenza primaria di non lasciare il debitore alla mercé del finanziatore: il quale ultimo, se è subordinato al rispetto del limite della soglia usuraria quando pattuisce i costi complessivi del credito, non può dirsi immune dal controllo quando, scaduta la rata o decorso il termine pattuito per la restituzione della somma, il denaro non venga restituito e siano applicati gli interessi di mora, ovvero quando, nell’esecuzione del contratto, i tassi debbano comunque mantenersi al di sotto del limite soglia ratione temporis.

La disciplina antiusura, in effetti, intende sanzionare sia la pattuizione di interessi eccessivi, convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, che la successiva sopravvenienza di saggi di interesse illegittimi, anche se successivi alla conclusione dei relativi contratti bancari, sanzionando con la previsione d’inefficacia, la clausola contrattuale relativamente alla percentuale di interessi eccedenti la soglia consentita.

Quanto alla sanzione applicabile una volta accertata l’usurarietà dei tassi, entrambe Entrambe le pronunce in esame, nell’ottica di evitare un’asettica applicazione della normativa di legge – ai danni stavolta del creditore – sostengono che in caso di accertamento di avvenuto superamento della soglia antiusura, si applichi l’art. 1815, comma 2 c.c., ma “in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro”.

Reputano infatti che la norma citata possa trovare una interpretazione che, pur sanzionando la pattuizione degli interessi usurari, faccia seguire la sanzione della non debenza di qualsiasi interesse, ma limitatamente al tipo che quella soglia abbia superato.

La Corte predilige quell’approccio teso a ricondurre l’indebito al dovuto premurandosi sì di garantire, protezione al debitore, ma evitando di lasciare scoperti da tutela alcuna, gli interessi creditizi.

Così, dando seguito al precedente dictum delle Sezioni Unite, di cui la Corte afferma che “i saggi di interesse usurari – che non siano stati pattuiti originariamente, ma siano sopraggiunti in corso di causa – costituiscono in ogni caso importi indebiti. Il creditore che voglia interessi divenuti nel corso del rapporto in misura ultra legale pretenderebbe per ciò stesso l’esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata: il suo comportamento sarebbe contrario al generale principio di buona fede contrattuale, che impone alle parti comportamenti collaborativi, anche in sede di esecuzione del contratto”.