GLI AMPI ORIZZONTI DELLA NUOVA COMPOSIZIONE NEGOZIATA DELLA CRISI
Il presente contributo s’inserisce – senza pretesa di esaurirlo neppure in parte – nell’attuale dibattito afferente i limiti d’accesso alla composizione negoziata della crisi fissati dal nuovo CCI con particolare riferimento ai limiti imposti dall’art. 25-quinquies inserito dall’art. 6, comma 1°, D. Lgs. 83/22 che, come noto, inibisce al debitore l’accesso alla procedura in epigrafe allorquando nei suoi confronti siano state depositate le domande di cui agli artt. 40, anche nelle ipotesi di cui ai successivi artt. 44 comma 1, lett. a), 54 comma 3° e 74, ovvero e semplificando, di accesso alla nuova liquidazione giudiziale ed al concordato minore.
Occorre brevemente premettere che della nuova procedura di composizione negoziata della crisi, così come introdotta dalla modifica intervenuta lo scorso anno, risultano particolarmente manifeste le componenti negoziale e stragiudiziale, racchiuse nella circostanza che neppure in fase inziale si colloca un vaglio del Giudice o di altra Autorità, circa la sussistenza di requisiti di accesso alla procedura in linea, da un lato, con la ratio del Legislatore europeo esplicitata con la Direttiva UE 20 giugno 2019, n. 1023, relativa ai “quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni (nonché) le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione”, dall’altro con lo spirito del Legislatore nazionale, che ha inteso fornire agli imprenditori strumenti volti a fare emergere – e se possibile a sanare – situazioni di crisi non irreversibile con l’auspicabile scopo di prevenire più gravi condizioni di insolvenza.
Ebbene, con riferimento al quadro normativo che inerisce l’istituto di nuovo conio, è utile porsi alcuni interrogativi sul rapporto tra lo stesso (di cui appunto è inevitabile apprezzare il carattere negoziale) e le ulteriori procedure introdotte dal nuovo CCI, con particolare riferimento alla liquidazione giudiziale ed alle varie tipologie di concordato ed in particolare, nel caso di cui ci si occupa, se il divieto di accedere alla procedura in esame, previsto al primo periodo dell’art. 25 quinquies si riferisca anche all’ipotesi in cui la pendenza di un procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale (o controllata) o di concordato minore, abbia avuto origine su richiesta di soggetti diversi dall’imprenditore.
Il commento che segue, in particolare, riguarda un provvedimento del Tribunale di Bologna, Est. Dott.ssa Alessandra Mirabelli che lo scorso 23 giugno ha deciso sull’accessibilità alla composizione negoziata della crisi di un imprenditore verso il quale pendeva, appunto instaurato precedentemente da un suo creditore, un procedimento ex art. 40.
Nella vertenza in esame l’imprenditore ricorreva al Tribunale per ottenere la conferma delle misure protettive del patrimonio ex art. 18 CCI, dando atto di aver formulato istanza per la nomina dell’esperto nell’ambito della composizione negoziata della crisi ai sensi degli artt. 18 e 19 CCI, nonché della circostanza che, su istanza di un proprio creditore, fosse in corso proprio dinanzi al Foro di Bologna un procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale; tra l’altro detto creditore instante interveniva nel procedimento così instauratosi, chiedendo pronunciarsi l’inammissibilità dell’accesso alla composizione negoziata proprio in ragione della prevenzione determinatasi dalla domanda di liquidazione giudiziale stessa.
Del provvedimento in esame non può non apprezzarsi la linearità argomentativa con la quale il Giudice estensore, nell’ammettere il debitore alla procedura compositiva, ha chiarito le ragioni alla base dell’insussistenza di incompatibilità tra detta procedura e le “maggiori”, indipendentemente dalla circostanza che le seconde abbiano avuto origine antecedente alla prima.
Il Giudice infatti, partendo dal dato letterale dell’art. 25-quinquies CCI che stabilisce che “l’istanza di cui all’articolo 17, non può essere presentata dall’imprenditore in pendenza del procedimento introdotto con ricorso depositato ai sensi dell’articolo 40, anche nelle ipotesi di cui agli articoli 44, comma 1, lettera a), 54, comma 3, e 74”, (che quindi evidentemente non distingue tra il ricorso “in proprio”, cioè proposto dall’imprenditore stesso (comma 3 art. 40 CCI) e quello su istanza del creditore, degli organi di controllo o del Pubblico Ministero (comma 6 art. 40 CCI)) e che “l’istanza non può essere altresì presentata nel caso in cui l’imprenditore, nei quattro mesi precedenti l’istanza medesima, abbia rinunciato alle domande indicate nel primo periodo”, concludeva per la preferibilità di un’interpretazione restrittiva del divieto di cui all’art. 25 quinquies come riferito alle sole precedenti iniziative dell’imprenditore per l’accesso a strumenti di regolazione della crisi, in piena continuità con l’abrogato comma 2 dell’art. 23 D.L. 118/2021, che menzionava solo strumenti proponibili dal debitore e non da soggetti diversi.
In altre parole, secondo l’arresto in commento l’istanza di liquidazione giudiziale presentata da un creditore non osta alla successiva richiesta da parte del debitore, di accesso – ove ne ricorrano i presupposti ex art. 18 CCI – ad una procedura di composizione della crisi, dovendosi intendere, il divieto posto dall’art. 25- quinquies del CCI, limitato alle sole ipotesi in cui la domanda di accesso ad una procedura “maggiore” sia stata precedentemente depositata dal debitore stesso.
Ad avviso del Tribunale di Bologna (che prende le mosse peraltro da un precedente provvedimento dell’8 novembre 2022, Est. Dott. Atzori), l’elemento centrale del nuovo istituto sarebbe il ragionevole raggiungimento del risanamento dell’impresa “e ciò a prescindere dalla condizione iniziale dell’imprenditore che vi accede, se di pre-crisi, crisi o vera e propria insolvenza, purché reversibile proprio perché l’impresa è risanabile (arg. ex art. art. 21 comma 1 CCI)”.
La pronuncia in esame ha altresì il pregio – a parere di chi scrive – di ripercorrere le conseguenze sul piano pratico alle quali si perverrebbe diversamente opinando, ovvero ritenendo ostativo all’accesso alla composizione negoziata, anche il precedente deposito di una domanda di liquidazione da parte di un soggetto diverso dall’imprenditore; ciò impedirebbe infatti, all’imprenditore in stato di crisi non irreversibile, l’accesso ad una procedura di risanamento, con “un acritico meccanismo di prevenzione che si sottrae” (come anticipato sin dall’inizio vista la mancanza dell’intervento dell’Organo Giudiziale nella fase introduttiva della procedura) “a qualunque valutazione sulla concreta fattibilità del piano”.
Non solo; detta interpretazione estensiva, secondo il Tribunale di Bologna, rischierebbe d’incentivare il debitore a chiedere prematuramente la nomina dell’Esperto e l’accesso alle misure protettive, e questo precipuamente al fine di prevenire i suoi creditori.
Conclude dunque il Giudice, previamente dichiarando che la precedente pendenza della domanda di apertura della liquidazione giudiziale, non avrebbe ostacolato la propria valutazione sulla sussistenza delle condizioni per l’apertura della successiva composizione negoziata richiesta dall’imprenditore, ammettendone l’accesso alle condizioni ivi meglio precisate.