TUTELA DELLA REDDITIVITA’ DELLE IMPRESE COLPITE DALLE MISURE PREVENTIVE PREVISTE DAL CODICE ANTIMAFIA E AUTONOMIA CONTRATTUALE DEGLI ISTITUTI DI CREDITO
Il Codice antimafia, regolato dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (aggiornato, con le modifiche apportate, da ultimo, dal D.L. 6 novembre 2021 n. 152 convertito, con modificazioni dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, dal D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199 e dalla sentenza della Corte Cost. 20 dicembre 2022-12 gennaio 2023, n. 2) contiene, tra le altre, una serie di norme volte a tutelare ed a preservare il valore dei beni oggetto della misura di prevenzione previste dal Codice stesso, non solo attraverso una gestione finalizzata alla conservazione e/o al ripristino della legalità, ma cercando dove possibile di incrementarne la redditività (art. 35, comma 5).
Tale redditività, declinata alle misure di prevenzione che vengono applicate sulle aziende e/o sulle partecipazioni societarie, si traduce nel principio della continuità aziendale, ovvero nella capacità di produrre flussi di cassa, oggetto di costante monitoraggio da parte dell’organo gestorio (l’Amministratore giudiziario) attraverso un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, come oggi previsto dal combinato delle norme novellate del Codice civile e del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.
Il sequestro, come pure l’amministrazione giudiziale, previsti dal Codice antimafia inevitabilmente determinano nell’impresa che ne viene coinvolta una crisi, con l’altrettanto inevitabile conseguenza che i creditori, ed in particolare il ceto bancario, applicheranno a quell’impresa specifiche cautele a tutela dei propri diritti, anche per evitare, appunto e quanto alle Banche, di incorrere nell’ipotesi di concessione abusiva del credito.
Al fine di recuperare le aziende colpite dalle misure, sottraendo i beni di origine illecita dal circuito economico dell’organizzazione criminale, e quindi di tornare alla legalità, sono stati stipulati numerosi protocolli di intesa per la gestione dei beni sequestrati e confiscati, sottoscritti dai Tribunali, competenti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale a livello distrettuale, e da altri Enti quali la CGIL e la UIL, la Regione e le città metropolitane, Confindustria e Confesercenti, la Camera di Commercio, e l’ABI.
I protocolli hanno quale finalità, tra le altre, quella di perseguire appunto la migliore redditività nell’amministrazione delle imprese, ridurre i tempi di gestione dei sequestri per massimizzarne il valore economico e contenere i costi della gestione delle procedure, sostenere – ove possibile – piani industriali e di sviluppo per le aziende sottoposte a sequestro nel rispetto delle regole di buona amministrazione e di conservazione dei valori aziendali.
L’Associazione Bancaria Italiana (ABI), come prevede in particolare il Protocollo del Tribunale di Bologna, tenuto conto della costante collaborazione che il settore bancario e finanziario presta nell’attività di contrasto ai fenomeni criminali e nel recupero dell’economicità e trasparenza delle attività imprenditoriali, invita i suoi rappresentati, tra l’altro, a non revocare automaticamente le linee di credito non scadute per il solo fatto che sia stato disposto nei confronti del soggetto finanziato un provvedimento di sequestro, fermo restando che l’utilizzo successivo concordato con l’Amministrazione giudiziaria costituisce credito prededucibile sorto in occasione o in funzione del procedimento di prevenzione ai sensi degli artt. 54 e 61 del Codice antimafia.
Resta fermo, però, che la Banca, nella sua autonomia contrattuale e discrezionale valutazione della singola posizione creditizia, conserva il potere/dovere di verificare la possibilità di mantenere le condizioni a cui erano state concesse le linee di credito, come pure potrà richiedere specifiche garanzie volte ad assicurare il rimborso del debito assunto.
Possono, chiaramente, anche essere concessi nuovi finanziamenti, finalizzati alla prosecuzione dell’attività di impresa, dopo l’approvazione del programma di prosecuzione dell’impresa da parte del Tribunale, ma sempre nella propria autonomia e discrezionalità.
Questo perché la condotta della Banca deve essere quella del bonus argentarius, ovvero non solo conforme ai doveri di correttezza e buona fede che regolano l’adempimento di tutte le obbligazioni, ma altresì quella del buon banchiere, dotato delle competenze tecniche e di specifici mezzi di valutazione delle condizioni patrimoniali del soggetto con cui essa opera, onde evitare una abusiva concessione del credito.
Su tale specifico tema è infatti intervenuta la Suprema Corte con le sentenze n. 18610 del 30 giugno 2021 e n. 24725 del 14 settembre 2021, con le quali è stato precisato il paradigma dei controlli ex ante che gli Istituti di credito devono effettuare per evitare in incorrere in responsabilità per aver mantenuto o esteso i finanziamenti concessi ad un’impresa in situazione di difficoltà.
Incombe sulle Banche, pertanto, l’obbligo di valutare l’adeguatezza di un piano industriale predisposto dall’impresa finanziata (o, in questo specifico caso, dall’Amministratore giudiziario) utilizzando standard di prudenza e diligenza adeguati al loro status professionale, poiché “l’erogazione del credito che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa”.
Se, quindi, la sola esistenza di una situazione di crisi, anche generata da una misura quale il sequestro preventivo, non dovrebbe essere di per sé sufficiente a rimettere in discussione gli affidamenti sino ad allora concessi, come pure alla concessione di nuovi, è la mancanza di fondate prospettive di superamento della situazione di difficoltà o di proficua permanenza sul mercato che dovrà essere attentamente valutata; si tratta di un approccio valutativo retrospettivo (forward – looking approach) della capacità di rimborso derivante dalla gestione ordinaria dell’attività, poiché non è sufficiente conoscere l’attuale stato di salute dell’impresa cliente, ma occorre anche prevederne le probabili evoluzioni; l’analisi previsionale della clientela imprese deve necessariamente tenere conto anche delle dinamiche attese del settore e al posizionamento competitivo della singola impresa all’interno del settore stesso.
Qualora tale valutazione desse esiti negativi, la Banca che avesse mantenuto le linee di credito in essere o ne avesse concesse di nuove incorrerebbe in responsabilità.