LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO PERMANENTE TRAMITE RENDITA VITALIZIA: QUANDO È POSSIBILE?

La Corte di Cassazione (sentenza n. 31574 del 25 ottobre 2022) si è recentemente pronunciata sulla facoltà del giudice di liquidare alla persona il danno non patrimoniale avente carattere permanente, ai sensi dell’art. 2057 c.c., sotto forma di rendita vitalizia, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno; si tratta di una forma di liquidazione del danno biologico scarsamente applicata dai giudici italiani, alla quale si è soliti prediligere la condanna al versamento di una somma omnicomprensiva. La Cassazione ha colto l’occasione per fare chiarezza su tale forma di liquidazione del danno biologico e sui criteri per la sua quantificazione.

La questione di cui è stata investita la Suprema Corte prende le mosse da un caso di responsabilità medica, accertata in primo grado, della struttura sanitaria che, a causa dell’errata diagnosi e della conseguente tardiva somministrazione della terapia, aveva causato ad un minore lesioni personali gravissime. Se il primo grado si concludeva con la condanna al risarcimento di una somma di denaro da versarsi una tantum, la sentenza di appello riformava parzialmente il provvedimento impugnato, condannando la struttura al pagamento di una rendita vitalizia mensile.

La decisione ha suscitato perplessità nei genitori della vittima, in particolar modo con riferimento all’alea di una tale decisione: la corresponsione di una rendita vitalizia sarebbe infatti da parametrarsi sulla durata della vita del beneficiario, sensibilmente ridotta, proprio a causa dell’accertata responsabilità medica, rispetto a quella di un soggetto sano. L’importo complessivo cui sarebbe tenuta la struttura sanitaria sconterebbe quindi una importante riduzione rispetto alla condanna al versamento dell’importo liquidato in un’unica soluzione, così comportando una conseguenza meno sfavorevole per il responsabile dell’illecito.

Tale doglianza ha offerto terreno fertile per la risoluzione del dibattito relativo alla scelta della forma più idonea di liquidazione del danno biologico, ed ai suoi criteri di calcolo. I Giudici di legittimità hanno infatti in primo luogo sottolineato che tale forma di liquidazione del danno consente una maggiore tutela del danneggiato in tutte quelle circostanze in cui vi sia il rischio che la somma omnicomprensiva versata a titolo di risarcimento venga dispersa velocemente (si pensi ad una mala gestio della somma, talvolta anche molto ingente, incassata dalla vittima). O ancora: il risarcimento del danno tramite rendita vitalizia consentirebbe una maggiore tutela laddove il danno biologico, per circostanze di fatto come ad esempio l’età della vittima, non permette una agevole prognosi di sopravvivenza. Il giudice, afferma pertanto la Cassazione, deve prediligere tale forma di liquidazione del danno ove, valutati tutti gli elementi concreti del caso, questa risulti in concreto quella più idonea a garantire ristoro alla vittima.

I Giudici di legittimità hanno inoltre escluso l’operatività del risarcimento tramite rendita vitalizia laddove le lesioni riportate dalla vittima del fatto illecito siano di lieve o di media entità, alla luce del fatto che “il relativo gettito sarebbe così esiguo da non arrecare alcuna sostanziale utilità al danneggiato”.

Venendo invece alla doglianza dei ricorrenti, ovvero al quantum della rendita, la Suprema Corte ha riconosciuto la necessità che questa, anche se erogata sotto forma di gettiti mensili o annuali, abbia lo stesso valore economico del capitale da cui è ricavata, proprio per evitare svantaggiose conseguenze per la vittima. Il giudice di merito dovrà pertanto in primo luogo quantificare il danno in linea capitale, tenuto conto dei parametri del caso, come l’età della vittima, e senza tenere conto di una eventuale riduzione dell’aspettativa di vita – sempreché quest’ultima sia conseguenza del fatto illecito. In secondo luogo, la somma capitale dovrà essere divisa per un coefficiente che dovrà essere liberamente scelto dal giudice, ma nel rispetto di alcuni parametri: deve essere infatti scientificamente fondato, aggiornato e corrispondente all’età della vittima alla data dell’infortunio; inoltre dovrà essere progressivo, cioè variabile in funzione (almeno) di anno, se non di frazione di anno. La somma ottenuta corrisponde al rateo annuale – che potrà essere diviso per dodici qualora il giudice riterrà di liquidare un risarcimento mensile.

Ci si auspica che questa ultima pronuncia della Suprema Corte apra la strada ad una più frequente applicazione di questa forma di liquidazione del danno, anche in considerazione della sua idoneità concreta a tutelare la vittima.