QUOTA DELL’EX CONIUGE SUL TFR: UN DIBATTITO SEMPRE ATTUALE

Con questa breve disamina, si intende porre attenzione sugli approfondimenti giurisprudenziali in materia di diritto di famiglia, ovvero ed in particolare sui diritti che vanta l’ex coniuge sul TFR percepito dall’ex congiunto.

Il dispositivo dell’art. 12 bis della Legge sul divorzio (L. 898/1970) prevede espressamente: “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza.

 Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.

Il legislatore ha quindi riservato all’ex coniuge il diritto a una quota del TFR maturato dall’altro coniuge nel rapporto di lavoro intrattenuto durante il matrimonio, nell’ottica di rafforzare il regime di solidarietà dei coniugi dopo la fine del rapporto, ovvero in caso di divorzio (scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio).

Dalla lettura del testo normativo si evincono i requisiti necessari per poter godere di tale diritto, ovvero: l’aver divorziato; non essere passati a nuove nozze ed essere percettori di un assegno divorzile. Non rileva invece la condizione affettiva del percettore del TFR.

Il diritto ad una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge sorge quando l’indennità sia maturata al momento o dopo la preposizione della domanda di divorzio e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio (cfr. Cass. n. 12175/2011); la richiesta può essere quindi svolta anche contestualmente alla domanda di divorzio (cfr. Cass. n. 21002/2008), tuttavia, diventa esigibile solo allorquando il TFR sia stato effettivamente liquidato. È pertanto in quel momento che si valutano i requisiti dell’ex coniuge, come stabilito dall’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ai fini del riconoscimento della quota dell’indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell’art. 12 bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (introdotto dall’art. 16 Legge 6 marzo 1987, n. 74), all’ex coniuge, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge va verificata al momento in cui matura per l’altro coniuge il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto stesso, con la conseguenza che il diritto ad una quota di esso non sorge, ad esempio, a favore dell’ex coniuge passato a nuove nozze o che non sia più titolare di assegno di divorzio” (Cass. n. 2466/2004).

La finalità della quota di TFR è da intendersi assistenziale e perequativo – compensativa; pertanto, il periodo che viene preso in considerazione per il calcolo della quota non comprende solo il periodo in cui i coniugi hanno adempiuto ai loro obblighi matrimoniali, bensì anche il periodo in cui tali obblighi si sono sospesi durante la separazione; non si devono invece tenere in considerazione gli anni della “convivenza”, posto che la giurisprudenza ha escluso qualsiasi rilevanza delle convivenza di fatto che abbia preceduto le nuove nozze del coniuge divorziato titolare del TFR (Cass. n. 10075/2003; Cass. n. 4867/2006).

 La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15299/2007 ha poi definito i criteri per il calcolo della quota per cui l’indennità dovuta deve computarsi calcolando il 40% dell’indennità totale percepita alla fine del rapporto di lavoro, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro stesso ha coinciso con il rapporto matrimoniale; tale risultato si ottiene dividendo l’indennità per il numero di anni in cui è durato il rapporto di lavoro, moltiplicando il risultato per il numero di anni in cui il rapporto di matrimonio (compresa la fase della separazione) e calcolando il 40% su tale importo.

Per effettuare tale calcolo si deve considerare l’importo al netto delle imposte, come conferma la sentenza della Corte di Cassazione n. 24421/2013, “altrimenti trovandosi lo stesso a doverla corrispondere in relazione ad un importo da lui non percepito siccome gravato dal carico fiscale”; tuttavia “per la liquidazione di tale quota occorre avere riguardo a quanto percepito da quest’ultimo, per detta causale, dopo l’instaurazione del giudizio divorzile, escludendosi quindi eventuali anticipazioni riscosse durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, essendo le stesse definitivamente entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto”.

Inoltre, al fine di stabilire se una determinata attribuzione in favore del lavoratore rientri o meno fra le indennità di fine rapporto contemplate dalla Legge sul divorzio occorre far riferimento all’incremento del patrimonio prodotto, nel corso del rapporto, dal lavoro del coniuge che si è giovato del contributo indiretto dell’altro; pertanto sono incluse le indennità di fine rapporto spettanti ai dipendenti pubblici, quali ad esempio l’indennità premio di servizio o quelle percepite dai lavoratori parasubordinati.

Mentre vi esulano le prestazioni private di natura previdenziale e assicurativa, nonché le ipotesi in cui il TFR confluisce in un fondo di previdenza complementare; quest’ultimo, infatti, non si percepisce all’atto della cessazione del rapporto di lavoro e comunque le somme che vengono liquidate hanno natura di pensione integrativa ai sensi dell’art. 2123 c.c.. Sul punto si è espresso il Tribunale di Milano con la sentenza del 18 maggio 2017 che, appunto, ha statuito che “Il diritto dell’ex coniuge a una quota del TFR dell’ex congiunto, ai sensi dell’art. 12-bis l. 898/1970, non compete con riguardo a quelle somme che risultino essere destinate a un fondo di previdenza complementare. Infatti, premesso che l’art. 12 bis l. 898/1970 riconosce al coniuge divorziato titolare di assegno divorzile la quota del 40% del TFR “percepito” alla cessazione del rapporto di lavoro, è evidente che quanto accantonato su fondo pensione non viene riscosso alla cessazione del rapporto di lavoro. Ciò per il fatto che nel caso in cui il Tfr sia conferito ad un fondo di previdenza complementare, la liquidazione non è riconosciuta alla cessazione del rapporto di lavoro, ma alla maturazione dei requisiti per la pensione. Inoltre, le somme versate non sono riconosciute come liquidazione, ma come pensione integrativa, che viene erogata, nella maggior parte dei casi, in forma di rendita ed in alcuni casi in forma di capitale. In definitiva, tale istituto rientra nella previsione dell’art. 2123 c.c., quale forma di previdenza integrativa, e non nella previsione dell’art. 2120 c.c., al quale si riferisce l’art. 12 bis della legge n. 898/1970.”

Un altro caso di esclusione, sempre citato nella già menzionata pronuncia è quello sull’eventuale incentivo all’esodo, per cui “Il diritto dell’ex coniuge a una quota del TFR dell’ex congiunto, ai sensi dell’art. 12-bis l. 898/1970, non compete con riguardo a quelle somme che siano erogate a titolo di incentivo all’esodo. Questo istituto, infatti, ha natura sostanzialmente risarcitoria: erogato nell’ambito di una trattativa tra lavoratore e datore di lavoro finalizzata allo scioglimento del rapporto di lavoro, mira a sostituire mancati guadagni futuri (lucro cessante). A differenza del TFR, dunque, l’incentivo all’esodo non è costituito da somme accantonate durante il pregresso periodo lavorativo “coincidente con il matrimonio”, bensì va a sostituire un (mancato) reddito lavorativo futuro, ed al momento della sua erogazione in alcun modo è “riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio” (cfr. Tribunale di Milano, 18 maggio 2017).

Come si è anticipato, il coniuge ha diritto alla quota di TFR in quanto gli viene corrisposto l’assegno divorzile; non deve però temere di perdere tale diritto qualora il giudice revochi successivamente l’assegno divorzile, così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4499/2021, “il diritto alla quota di TFR spetta all’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile se il trattamento è stato corrisposto all’altro ex coniuge dopo la proposizione della domanda di divorzio. La sopravvenuta revoca dell’assegno opera ex nunc, a far data dalla proposizione della relativa domanda, e non ha effetto sui diritti già acquisiti collegati all’assegno”.

Per concludere, si evidenzia infine che il diritto alla quota di TFR dell’ex coniuge divorziato spetta, sempre qualora ne ricorrano i presupposti, anche quando l’obbligato alla prestazione sia deceduto; nel caso in cui l’ex coniuge percettore del TFR si sia risposato, il diritto l’ex coniuge concorre con il diritto dell’altro con cui l’ex coniuge si era risposato.

Quanto al termine di prescrizione di tale diritto, non essendoci una specifica previsione di legge in proposito, si ritiene che si prescriva nel termine di dieci anni.