CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE – RISOLTO IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO
Con la recentissima sentenza n. 26727 del 15 ottobre 2024, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale sorto riguardante la possibilità da parte dell’opposto di proporre nella comparsa di risposta del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, domande alternative rispetto a quelle introdotte nel giudizio monitorio.
Circa i fatti di causa, la vicenda prende le mosse da una società a responsabilità limitata che nel gennaio del 2012 otteneva dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti della Azienda Sanitaria Locale di Viterbo e della Regione Lazio per il pagamento di una somma a titolo di corrispettivo per prestazioni sanitarie.
Entrambe le ingiunte si opponevano dando avvio, pertanto, a due cause, nelle cui comparse di costituzione e risposta, subordinatamente al rigetto dell’opposizione, la società chiedeva, in via riconvenzionale, di accertare che le controparti dovessero tenerla indenne ex art. 1337 c.c., con conseguente condanna al pagamento di una somma e chiedendo, altresì, in via ulteriormente subordinata, di accertare che le controparti dovessero ex art. 2041 c.c., rivalerla dal loro giustificato arricchimento, con conseguente condanna al pagamento del medesimo importo.
Il Tribunale decideva le cause con due pronunce che accoglievano l’opposizione al decreto ingiuntivo rigettando le ulteriori domande introdotte dalla Società, la quale proponeva appello avverso ciascuna sentenza dolendosi, tra l’altro, del mancato accoglimento delle domande subordinate.
La Corte d’Appello di Roma, riunite le cause, con sentenza del 9 febbraio 2022 rigettava entrambi i gravami: in particolare, a proposito delle domande subordinate, respinte anche nel merito, la Corte affermava che tali domande di pagamento ai sensi degli artt. 1337 e 2041 c.c. fossero state presentate “in modo inammissibile non essendo le stesse conseguenti ad una domanda riconvenzionale proposta dalle parti convenute sostanziali, ovvero la Regione e la ASL”.
La Società presenta, pertanto, ricorso per Cassazione, da cui la Regione e l’ASL si sono difese con controricorsi.
Dei sei motivi di impugnazione il quarto, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., denuncia la violazione del combinato disposto degli artt. 645, comma 2, 167 comma 2 e 183 comma 5 c.p.c. per avere il Giudice di seconde cure erroneamente ritenuto inammissibili le domande di condanna al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. ed all’indennizzo ex art. 2041 c.c.: sia la Regione che l’Asl, infatti, avevano contestato l’esistenza e/o la validità del rapporto contrattuale; mentre la Società allegava nel ricorso monitorio l’esistenza di un rapporto contrattuale del quale reclamava l’adempimento da parte della Regione Lazio e della Asl, queste ultime contestavano l’esistenza di detto rapporto contrattuale e la sua validità. Per tanto è fuori dubbio che l’esigenza di formulare le domande ulteriori sia sorta in conseguenza delle difese delle parti opponenti e che “la proposizione, da parte degli opponenti, delle eccezioni di inesistenza e/o invalidità del rapporto contrattuale abbia comportato l’introduzione di nuovi temi di indagine tali da legittimare la proposizione di domande nuove, di arricchimento senza causa o di responsabilità precontrattuale, da parte dell’opposta”.
Il ricorso veniva assegnato alla Prima Sezione Civile della Suprema Corte e chiamato all’udienza camerale dell’8 febbraio 2023 in esito alla quale è stata pronunciata, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., ordinanza interlocutoria di rimessione degli atti al Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite in ordine alla questione insita nel quarto motivo del ricorso.
Il Collegio rimettente osservava che “nell’escludere l’ammissibilità delle domande di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale e di indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, la sentenza impugnata richiama l’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale dell’attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio salvo il caso in cui, per effetto di una domanda riconvenzionale formulata dall’opponente, si venga a trovare a sua volta nella posizione processuale di convenuto a cui non può essere negato il diritto di difesa rispetto alla nuova più ampia pretesa della controparte mediante la proposizione, eventuale, di una reconventio reconventionis”.
L’ordinanza interlocutoria prosegue poi citando una copiosa, recente giurisprudenza (Cass. sez. III, ord, 10 marzo 2021 n. 6579; Cass. sez. II, 25 febbraio 2019 n. 5415; Cass. sez. I, 22 giugno 2018 n. 16564) secondo la quale si ritiene, in linea generale, che nel giudizio ordinario di cognizione instaurato mediante la proposizione di domanda di adempimento contrattuale, quella dell’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento rivestisse carattere di novità e se ne escludeva, pertanto, la proponibilità a fronte di una condotta difensiva del convenuto articolata nella mera proposizione di eccezioni; è su tale indirizzo, costantemente ribadito fino ad epoca piuttosto recente, che l’ordinanza interlocutoria segnala una intervenuta “rimeditazione” nell’ultima giurisprudenza di legittimità frutto dell’impulso proveniente dalle Sezioni Unite con sentenza n. 12310 del 15 giugno 2015 con al quale “a modifica di un orientamento anche esso consolidato”, si è riconosciuta la possibilità di modificare, nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., la domanda ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell’intervenuto effetto traslativo, dichiarando che “la modificazione della domanda consentita dall’art. 183 può riguardare uno solo o anche entrambi gli elementi oggettivi della stessa, ovvero petitum e causa petendi, purché la domanda modificata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che si determini una compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero un allungamento dei tempi processuali”.
A parere del Collegio rimettente, la “rimeditazione” si è innestata su di una pluralità di ragioni: a) l’art. 183 c.p.c. non prevede un esplicito divieto di domande nuove comparabile a quello dell’art. 345 c.p.c.; b) l’art. 189 c.p.c., nel testo vigente fino al 28 febbraio 2023, impone al Giudice Istruttore, quando la causa viene rimessa al Collegio, di invitare le parti a precisare le conclusioni “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’art. 183 c.p.c.”; c) l’essenza delle modificazioni consentite dall’art. 183 c.p.c. non si ravvisa nella loro impossibilità di incidere sugli elementi identificativi della originaria domanda, ma della sostituzione di questa da parte delle domande modificate, che ne costituiscono alternativa; d) la conseguente rinuncia implicita alla domanda originaria.
Tutto questo è stato esteso pure alla domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento proposta a modifica di una originaria domanda di adempimento contrattuale, in quanto le due domande si riferiscono alla medesima vicenda sostanziale, attengono al medesimo bene della vita e sono legate da un rapporto di connessione. Aggiunge il Collegio rimettente che il principio per cui la modificazione consentita dall’art. 183 c.p.c. possa investire entrambi gli elementi identificativi della domanda “è stato ritenuto infine applicabile anche al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo” da Cass. sez. I, 24 marzo 2022 n. 9633.
Occorre, pertanto, chiarire se nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto possa proporre una domanda nuova, diversa da quella avanzata nella fase monitoria, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto domanda riconvenzionale e si sia limitato a sollevare eccezioni chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo opposto, e se ed entro quali limiti possa considerarsi ammissibile la modificazione della domanda di adempimento contrattuale avanzata con il ricorso per ingiunzione attraverso la proposizione di una domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento o di una domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.
Il codice di procedura civile entrato in vigore il 21 aprile 1942 è stato investito nel 1950 da una rilevante riforma che ha ravvisato un intenso potere dispositivo delle parti con corrispondente forte attenuazione dell’impronta pubblicistica del sistema. In qualunque momento del giudizio, fino alla precisazione delle conclusioni, poteva essere introdotta una domanda nuova che rimaneva nel thema decidendum se controparte taceva, valendo il suo silenzio come accettazione implicita. La legge n. 353 del 26 novembre 1990 ha portato ad un cambio di rotta quanto alla costruzione della regiudicanda, valorizzando l’identificazione della differenza tra mutatio libelli ed emendatio libelli. In questo campo nel 2015 arriva un importante intervento nomofilattico con la sentenza 12310: nell’art. 183 c.p.c. non si riscontra un esplicito divieto di domande nuove nell’udienza, e nell’art. 189 c.p.c. il Giudice invita le parti a precisare le conclusioni “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’art. 183 c.p.c.”, confermando che in tale articolo è inclusa la possibilità di modifica delle domande e delle conclusioni dell’atto introduttivo in misura sensibilmente apprezzabile e non come mere precisazioni.
La Cassazione estrae allora dal sistema tre tipi di domande: le domande nuove – ammissibili solo se costituiscono una reazione specifica alle difese del convenuto; le domande precisate – che già anteriormente si ritenevano ammissibili essendo mere precisazioni; le domande modificate – la cui ammissibilità diventa l’apporto della pronuncia del 2015. Le Sezioni Unite sottolineano che la vera differenza tra domande nuove e domande modificate sta nel fatto che queste ultime non possono essere considerate nuove nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, trattandosi sempre delle stesse domande iniziali modificate, ovvero, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziale ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, il un rapporto di alternatività.
La domanda modificata potrà investire tutti gli elementi identificativi oggettivi della domanda originaria, trovando l’unico limite nella stessa vicenda sostanziale prospettata con l’atto introduttivo o comunque nel collegamento a questa.
Viene così enunciato il liberale principio di diritto che “la modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno od entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano, sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio … ne consegue che deve ritenersi ammissibile la domanda iniziale di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo”. A questo inquadramento ha aderito la sentenza delle Sezioni Unite n. 22404 del 13 settembre 2018 e ciò ha condotto a farne diritto vivente nel sistema anteriore alla riforma di cui al d.lgs n. 149/2022: “è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa a quella inizialmente formulata”.
Sia l’arresto del 2015 che quello del 2018 hanno trattato questioni nell’ambito di cause instaurate con l’ordinario atto introduttivo; in entrambe le pronunce poi i casi consistevano nella introduzione di una domanda alternativa rispetto a quella originaria avvenuta non nel contraddittorio orale dell’udienza ex art. 183 c.p.c., ma nella prima memoria 183, comma sesto.
La giurisprudenza nomofilattica appena richiamata ha generato una sua folta applicazione da parte delle sezioni semplici.
Giova premettere che il decreto ingiuntivo è uno strumento acceleratorio, proveniente da una potenziata valenza giuridica degli elementi probatori allegati al ricorso i quali, se non costituenti prova legale, le sono assai prossimi. La via monitoria ha comunque una potenzialità piena, essendo il decreto ingiuntivo abilitato a generare un “ordinario” giudizio di cognizione con il giudizio di opposizione e ciò nonostante che la parte opponente possa eventualmente già trovarsi di fronte ad un titolo esecutivo senza che l’opposizione su ciò automaticamente incida, occorrendo un intervento positivo ex art. 649 c.p.c.: il decreto rimane in piedi fino alla sentenza o anche sopravvive all’intervenuta estinzione.
La sentenza delle Sezioni Unite 927/2022, richiamando i dettati di S.U. 20604/2008, S.U. 19246/2010, S.U. 14475/2015 e S.U. 19596/2020, ha osservato come il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non dia assolutamente vita ad un procedimento di impugnazione, ma debba essere considerato un ordinario processo di cognizione piena che devolve al giudice della opposizione il completo esame del rapporto giuridico controverso e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto di ingiunzione; la eventuale fase di opposizione a decreto ingiuntivo completa il giudizio di primo grado, trattandosi di giudizio di primo grado bifasico, sicchè le due fasi fanno parte di un medesimo giudizio che si svolge nel medesimo ufficio, ed ancora il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si può suddividere in due fasi, la prima a cognizione sommaria e la seconda a cognizione piena e che l’opposizione a decreto ingiuntivo non è l’impugnazione del decreto. Pertanto il dictum che ne è emerso è che “l’opposizione prevista dall’art. 645 c.p.c. non è una actio nullitatis o una azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo ma come fosse ulteriore, anche se eventuale, del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo”.
Il soggetto che si è avvalso dello strumento monitorio, ottenendolo, nel giudizio ordinario di cognizione riveste poi processualmente il ruolo di convenuto, ma sostanzialmente quello di attore.
Su questa tematica la dottrina si era sviluppata già prima della basilare innovazione introdotta con S.U. 12310/2015: c’era chi ha riconosciuto l’inversione processuale rispetto alla non scalfita posizione sostanziale; chi considerava l’art. 2697 c.c. norma che non attribuisce all’attore alcun onere probatorio; altri che hanno censurato come inammissibile la limitazione della facoltà dell’opposto a presentare domande riconvenzionali nella comparsa di costituzione e risposta, avvalendosi dell’art. 645 c.p.c. per dedurne l’applicazione dell’integrale disciplina del giudizio ordinario.
Si giunge così al nucleo della richiesta di chiarimento dell’ordinanza interlocutoria, ovvero se, svincolato nelle sue potenzialità difensive da una pura reazione riconvenzionale, l’opposto possa fare di più, cioè proporre una domanda “modificata” nell’ampio senso indicato dalla sentenza del 2015, senza che il contenuto della domanda monitoriamente introdotta restringa ed incida e senza che la presenza di una domanda o di una eccezione riconvenzionale ne debba definire il perimetro.
E’ necessario ricostruire lo status giurisprudenziale sull’introduzione del giudizio, da parte dell’opposto, di domande “diverse” e perciò anche eventualmente per la gradazione rispetto a quella che ha aperto il giudizio per la via monitoria.
Sostiene S.U. 26128/2010 che “le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa si differenziano sia quanto alla causa petendi sia quanto al petitum; ne consegue che nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, al quale si devono applicare le norme di diritto ordinario, ai sensi dell’art. 645 c.p.c. comma 2, e dell’art. 183, comma 5, c.p.c. è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con al comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore atto di indagine tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa. In ogni altro caso, all’opposto non è consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, una autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilità è rilevabile d’ufficio dal giudice”.
Questa pronuncia, relativa ad una causa avviata prima dell’entrata in vigore della legge 353/1990 e comunque superata dall’arresto nomofilattico del 2018, vale per lo più come specimen dell’anteriore percezione del sistema in quanto attiene solo alla fattispecie della domanda riconvenzionale. Una certa linea giurisprudenziale in tal senso però è realmente rimasta anche dopo gli interventi nomofilattici del 2015 e del 2018: così Cass. sez. III, 10 marzo 2021 n. 6579, Cass. sez. II, 25 febbraio 2019 n. 5415 e Cass. sez. I, 22 giugno 2018 n. 16564, secondo cui “nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare a sua volta nella posizione processuale di convenuto al quale non può essere negato il diritto di difesa rispetto alla nuova o più ampia pretesa di controparte, mediante la proposizione eventuale di una reconventio reconventionis che deve però dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale”.
In direzione contraria e quindi coerente con il nuovo percorso ermeneutico si è posta invece Cass. sez. I, 24 marzo 2022 n. 9633 che ha riconosciuto all’opposto la facoltà di integrare il thema decidendum nella comparsa di costituzione e risposta: “in tema di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all’opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all’attore formale e sostanziale dell’art. 183 c.p.c.”. Pronuncia, questa, seguita in piena conformità da Cass. sez. III, 22 settembre 2023 n. 27183 e Cass. sez. III, 27 novembre 2023 n. 32933.
Quanto emerge da quest’ultima linea ermeneutica è che è davvero attore sostanziale il soggetto che, astenutosi dallo svolgere la funzione di attore processuale secondo il canone ordinario, si è avvalso della via monitoria, allorquando la pretesa da lui esternata in tale modalità speciale si evolve – per la reazione oppositiva dell’ingiunto che ha assunto la funzione di attore processuale – recuperando il paradigma del giudizio ordinario, ovvero il contraddittorio, ai sensi dell’art. 645 c.p.c.
Ne deriva che la proposizione nella comparsa di risposta della causa in esame, da parte dell’opposto, di domande come quelle qui prospettate ex art. 2041 c.c. ed ex art. 1337 c.c. è ammissibile, ben potendo a livello generale ed astratto riconoscersi anche a loro fondamento l’interesse dell’originario ricorrente in relazione alla vicenda, originariamente tradotto in azione di adempimento contrattuale: il petitum di tali domande alternative risulta almeno in parte corrispondente alla prima pretesa avanzata in via monitoria. Tutto questo si pone in sintonia proprio con l’interpretazione di S.U. 12310/2015 per cui deve pure rilevarsi, in relazione alla memoria dell’Asl asserente che dal nuovo inquadramento del thema decidendun le insorgerebbe difficoltà difensiva che, in realtà, non è in alcun modo leso mediante un novum il diritto di difesa da essa esercitabile.
Pervenendo allora al conseguente principio di diritto, deve affermarsi che “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la proposizione da parte dell’opposto nella comparsa di risposta di domande alternative a quella introdotta in via monitoria è ammissibile se tali domande trovano il loro fondamento nel medesimo interesse che aveva sostenuto la proposizione della originaria domanda nel ricorso diretto all’ingiunzione”.
Occorre da ultimo precisare se sussiste per l’opposto, la facoltà di inserire domande difensive alternative non nella comparsa di risposta bensì nello sviluppo ulteriore del processo anche nel caso in cui l’opponente non abbia contribuito con alcunché in questo slittamento in avanti, e dunque nella prima udienza e nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c.
Ogni domanda è atto difensivo; pertanto, in un’ottica di parità ed in riferimento al canone della correttezza processuale ex art. 88, comma 1, c.p.c. chi ha avviato il giudizio per via monitoria ha facoltà di introdurre nella comparsa di risposta le domande alternative che eventualmente intenda presentare, non potendo invece riservarle fino all’ultimo giro offerto dall’art. 183, comma 6, c.p.c.; fino a quest’ultimo, a seconda dell’evoluzione difensiva dell’opponente posteriore alla comparsa di risposta, gli sarà consentito proporre domande come manifestazioni di difesa, anche se non stricto sensu riconvenzionali.