UN’ULTERIORE CONFERMA DELLA CASSAZIONE IN TEMA DI DILIGENZA POSTA A CARICO DELLA BANCA NELLA PRESTAZIONE DEI SERVIZI IN FAVORE DEL CLIENTE

Con la recente ordinanza n. 23683 pubblicata in data 4 settembre 2024, la Suprema Corte ha nuovamente rimarcato i confini degli obblighi posti a carico della Banca nella prestazione dei servizi in favore della clientela, affermando che detta prestazione abbia natura tecnica e debba quindi valutarsi tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro quello dell’accorto banchiere.

Le operazioni poste in essere dalla Banca, pertanto, in quanto ricondotte nella sua sfera di controllo tecnico, devono rispondere a parametri di diligenza, sulla base anche di una valutazione di prevedibilità ed evitabilità tale per cui la condotta, per esonerare l’Istituto, la cui responsabilità contrattuale è presunta, deve porsi al di là delle possibilità esigibili della sua sfera di controllo.

Se dunque il cliente disconosce i prelievi effettuati attraverso la propria carta bancomat, la Banca non può sottrarsi alla propria responsabilità affermando che chi ha effettuato il prelievo non poteva non conoscere il pin e dunque la carta era stata utilizzata con elevato grado di probabilità dai familiari del correntista stesso, o comunque che questo non avesse mantenuto il dovuto riserbo sul pin, comunicandolo a terzi.

E allora – prosegue l’ordinanza, richiamando un suo precedente e pure recente arresto, la sentenza n. 3780 del 2024 – “la responsabilità della Banca per operazioni effettuate tramite strumenti elettronici, con particolare verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente configurabile, ad esempio, nel caso di protratta attesa prima di comunicare l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento ma il riparto degli oneri probatori posto a carico delle parti segue il regime della responsabilità contrattuale”.

Il cliente, allora, è tenuto soltanto a provare la fonte del proprio diritto ed il termine di scadenza, laddove l’Istituto di credito deve provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, dovendo anzitutto dar corso alla verifica dell’adozione delle misure atte a garantire la sicurezza del servizio; da ciò consegue che “essendo la possibilità della sottrazione dei codici al correntista attraverso tecniche fraudolente una eventualità rientrante nel rischio d’impresa, la banca per liberarsi dalla propria responsabilità, deve dimostrare la sopravvenienza di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore”.

La Suprema Corte ritiene quindi che la Banca sia onerata del compito di garantire e mantenere la fiducia della clientela nella sicurezza del proprio sistema, laddove il cliente stesso compia operazioni a mezzo di strumenti elettronici, e ciò sulla scorta di un principio consolidato, ovvero che ciò debba essere ricondotto nell’area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento.

La Banca, pertanto, potrà sottrarsi alla responsabilità solo in caso in cui riesca a provare che quella determinata operazione contestata dal cliente sia invece allo stesso certamente riconducibile.

I principi espressi dalla pronuncia esaminata, a ben vedere, non sono nuovi: infatti già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 11/2010 (attuativo della direttiva n. 2007/64/CE in tema di servizi di pagamento nel mercato interno), la Banca – cui è richiesta una diligenza qualificata, da valutarsi con il parametro dell’accorto banchiere – era tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell’operazione al cliente; l’art. 10, comma 1 del decreto menzionato dispone appunto che l’onere di provare che l’operazione illecita del terzo è stata invece effettuata correttamente grava sull’istituto di credito.

Il quadro giurisprudenziale su riferito può quindi essere sintetizzato in questi termini: da un lato la Banca ha l’onere di agire con diligenza, impendendo prelievi abusivi, dall’altro ha quello di dimostrare che il prelievo, ove effettuato, non è opera di terzi ma è riconducibile comunque alla volontà del cliente; quest’ultimo subisce le conseguenze della perdita se, per colpa grave, ha dato adito o ha aggravato il prelievo illegittimo.