SOLUTI RETENTIO EX ART. 2035 C.C. NELL’AMBITO DEL FINANZIAMENTO ALL’IMPRESA INSOLVENTE

Con la sentenza n. 16706 pubblicata il 5 agosto 2020, la Cassazione ha fatto il punto sul tema del negozio immorale in relazione a fattispecie in cui venga in rilievo l’ordine pubblico economico.

La norma in oggetto prevede che chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume, non possa ripetere quanto ha pagato. Con l’arresto in esame, la Suprema Corte ha precisato che, ai fini dell’applicazione della soluti retentio di cui al 2035 c.c., le prestazioni contrarie al buon costume non siano circoscritte esclusivamente a quelle che contrastano con la morale sessuale o del pubblico decoro: in effetti, debbono considerarsi contrarie a buon costume anche tutte quelle prestazioni difformi da principi e norme che costituiscono la morale sociale in un determinato momento storico.

A tal fine, evidentemente ampliando il novero di etichette cui parametrare le prestazioni conformi al buon costume, la Cassazione ha incluso le regole di mercato e la tutela dei creditori. È pertanto da considerare contraria a buon costume, dunque irripetibile, l’erogazione di somme di denaro in favore di un’impresa già in stato di decozione, in quanto avente il solo fine di ritardare la dichiarazione di fallimento (rectius, la liquidazione giudiziale) e incrementando così l’esposizione debitoria dell’impresa: tale condotta non ha altro effetto che violare le regole di correttezza che governano il mercato.

Più precisamente, il caso in esame riguardava prestazioni di finanziamento dissimulate, a fronte di forniture mai pattuite né tanto meno eseguite, che non si sono esaurite nella “mera sovvenzione all’imprenditore già insolvente”, ma sono state progressivamente dedotte in un programma di acquisto dei relativi assets, così fungendo il credito da mera leva per l’acquisizione del capitale della società fallita, in danno dei creditori e a detrimento finale della soggettività economica del finanziato.

Tale orientamento è stato recentemente confermato anche dall’ordinanza n. 4376, pubblicata il 19 febbraio 2024, della Sezione I della Corte di Cassazione, la quale è stata chiamata a pronunciarsi su una richiesta di ripetizione di indebito proposta dall’amministratore di una società in grave crisi che aveva effettuato dei versamenti a titolo di prestito infruttifero per due milioni di euro. A fronte di una esposizione debitoria di circa cinquanta milioni di euro, la Suprema Corte ha ritenuto che il finanziamento in esame non avesse il fine di salvare la compagine societaria, ma solo di ritardare il più possibile l’inevitabile esito.

È quindi contrario a buon costume, e per ciò irripetibile, il finanziamento erogato a società in dissesto finanziario, in quanto il concetto di buon costume comprende anche le condotte preordinate “alla violazione delle regole di correttezza che governano le relazioni di mercato e alla costituzione di fattori di disinvolta attitudine “predatoria” nei confronti di soggetti economici in dissesto”.