REVOCABILE IL MUTUO CONCESSO PER ESTINGUERE L’ESPOSIZIONE DEL CONTO CORRENTE

È stato richiesto allo Studio un parere riguardo ai profili di revocabilità di un finanziamento concesso da una Banca a persona assoggettabile alla sola liquidazione controllata, per estinguere l’esposizione derivante da conto corrente.

Il secondo comma dell’art. 274 CCII espressamente prevede che “Il liquidatore, sempre con l’autorizzazione del giudice delegato, esercita o, se pendenti, prosegue le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile”, col che ne consegue che è possibile per il Liquidatore di esercitare l’azione revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c., ma non quella c.d. fallimentare, essendone escluso il rinvio a tali norme (da art. 153 a art. 170 CCII).

L’esperibilità della sola revocatoria ordinaria, peraltro, evidenzia alcuni problemi applicativi in capo al Liquidatore, primo fra tutti, il dover provare i requisiti dell’azione stessa, fra cui l’eventus damni, che nel caso in esame parrebbe di difficile sussistenza, dal momento che la scopo concreto del finanziamento era quello di rientrare dall’esposizione del conto corrente, attraverso l’ammortamento del mutuo stesso: in concreto quest’ultimo svolgerebbe la funzione di un piano di rientro rateale, che non aggraverebbe dunque la posizione (patrimoniale) debitoria del cliente della Banca.

Peraltro, un arresto di Cassazione abbastanza recente (la sentenza n. 1517 del 25 gennaio 2021, supportata dalle precedenti n. 20896 del 5 agosto 2019 e n. 7740 dell’8 aprile 2020) ha affermato che il finanziamento della Banca (in quel caso ipotecario) destinato ad estinguere una pregressa esposizione debitoria chirografaria (anche in quel caso da conto corrente) non avrebbe i requisiti fondamentali per essere definito mutuo.

In tal caso, non sarebbe pertanto, consentita alla Banca l’insinuazione al passivo fallimentare delle somme relative all’operazione, in quanto le stesse sarebbero state solo apparentemente erogate al mutuatario, per cui la Banca stessa non potrebbe domandare la restituzione di una somma di denaro che in concreto non ha mai consegnato al mutuatario.

Secondo la Corte, in questa linea di ragionamento, il ripianamento di un debito chirografario della Banca a mezzo di un nuovo credito  – che l’istituto di credito già creditore realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato del debito a carico del cliente – verrebbe a sostanziare un’operazione di mera natura contabile; in tale contesto, verrebbe a mancare la effettiva traditio del denaro al mutuatario, realizzandosi solo un mero differimento del tempo di esecuzione della prestazione dovuta (la dilazione del debito chirografario originario).

Ne consegue, secondo il decisum della Corte, che la banca non ha diritto di avanzare “una domanda di ammissione al passivo che abbia ad oggetto la restituzione di somme di danaro”, in quanto “la domanda di ammissione non potrebbe che fare riferimento al titolo che in origine è stato alla base dell’erogazione delle somme a credito: dunque, all’iniziale scoperto di conto”, e non propriamente ad un mutuo, che in sostanza non si è mai realizzato, confermando così l’operato del Curatore che aveva originariamente escluso tale credito dal passivo fallimentare.