CRAM DOWN FISCALE E CONCORDATO

È ormai pronto a giungere sul tavolo del Primo Presidente della Corte di Cassazione il dibattito giurisprudenziale sull’applicabilità del “cram down fiscale” al solo concordato preventivo liquidatorio ovvero anche al concordato in continuità aziendale.

Il cram down rappresenta una delle principali novità che erano già state anticipate, di fatto, prima del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza e, in particolare, con la L. 176/2020, entrata in vigore il 25 dicembre 2020, che ha anticipato varie innovazioni poi recepite nel Codice.

In inglese cram down significa “buttare giù, inghiottire a forza” e, nel gergo delle procedure, sta a significare la facoltà del Tribunale di disporre l’omologazione del concordato preventivo quando la proposta di soddisfacimento dei creditori fiscali e previdenziali sia per questi conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria, anche se tali creditori non hanno espresso voto favorevole.

Tutto è partito da una pronuncia del Tribunale di Lucca del 18 luglio 2023, secondo cui “non può essere accolta la tesi secondo la quale il cram down fiscale e previdenziale servirebbe a realizzare i presupposti della c.d. ristrutturazione trasversale e, quindi, a consentire l’omologazione del concordato in continuità aziendale”.

Il Tribunale toscano si colloca fra i primi ad individuare quello che risulta a prima vista, a seguito dell’intervento del decreto legislativo 83/2022, un vero e proprio difetto di coordinamento fra norme, nella specie gli artt. 88 e 112 c.c.i.i.

La Corte d’Appello di Firenze, con provvedimento del 31 ottobre 2023, ha spiegato perfettamente in cosa consiste questo difetto di coordinamento: ha infatti evidenziato come l’art. 88 c.c.i.i. possa trovare applicazione con riguardo alla sola ipotesi di concordato liquidatorio, in quanto fa riferimento solo all’art. 109, comma 1, c.c.i.i. che, nel disciplinare la maggioranza per l’approvazione del concordato, fa “salvo quanto previsto per il concordato in continuità aziendale, dal comma 5”, secondo il quale “il concordato in continuità aziendale è approvato se tutte le classi votano a favore”; nello stesso senso si è orientato pure il Tribunale di Milano con sentenza del 27 dicembre 2023.

Il dibattito si è ora nuovamente alimentato, dopo le pronunce del Tribunale di Napoli del 21 febbraio 2024 e del Tribunale di Mantova del 14 marzo 2024.

Secondo il Tribunale napoletano, il cram down è possibile anche nel concordato in continuità, giacché tale facoltà del Tribunale di omologare la proposta presentata dal debitore, anche in presenza di una o più classi contrarie, nel caso in cui sussistano congiuntamente i presupposti di cui all’art. 112, comma 2, c.c.i.i., trova origine direttamente nell’art. 11 della Dir. (UE) 2019/1023 (c.d. Direttiva Insolvency). Tale ultima disposizione, secondo il Giudice partenopeo, prevede la ristrutturazione trasversale dei debiti e impone l’accettazione della proposta anche alle classi dei creditori che l’hanno respinta, non approvandola con il proprio voto, principalmente in quanto prevale la ratio dell’omologazione forzosa, che è quella di superare ingiustificati dinieghi da parte degli Enti tributari e previdenziali, in presenza di proposte non deteriori rispetto all’alternativa liquidatoria.  Alla luce di ciò, il piano verrebbe omologato grazie alla forzatura dell’Autorità giudiziaria, tenendo conto della presenza predetti presupposti, peraltro essenziali al fine di superare il diniego degli interessati appartenenti alle categorie suddette.

Secondo il Tribunale mantovano, che condivide l’orientamento espresso dal Giudice napoletano sotto il profilo applicativo dell’art. 11 della direttiva UE n. 1023/2019, l’approvazione del concordato ai sensi dell’art. 112, comma 2, c.c.i.i e, quindi, con l’assenso non da parte della maggioranza dei creditori, trova spiegazione nell’intento del legislatore unionale (v. considerando n. 2 della Direttiva Insolvency richiamata) e nazionale di favorire le soluzioni di ristrutturazione dei debiti che prevedano la continuazione diretta o indiretta dell’attività di impresa, al fine della salvaguardia dei posti di lavoro, della preservazione dei valori e dei rapporti aziendali nonché delle conoscenze e competenze massimizzando il valore totale per i creditori.

Si attende, dunque, una necessaria quanto auspicata pronuncia nomofilattica della Corte di Cassazione sul punto, la quale a dire il vero potrebbe aver già anticipato il suo orientamento tramite quanto affermato dall’Ufficio del Massimario, nella relazione n. 15 del 15 settembre 2022, resa proprio sul Codice della Crisi in attuazione della Direttiva UE n. 1083/2019 c.d. Insolvency del D.Lgs. n. 83 del 2022, in cui si legge: “non si ritiene, invece, stante la già individuata specialità di questa norma, che i medesimi effetti del cram down, limitatamente a tributi e contributi, possano essere raggiunti attraverso la cross class cram down di cui all’art. 112 comma 2, giacché altrimenti rischierebbe di non avere senso la formulazione conservata dell’art. 88 comma 2 bis”.

Non rimane che attendere, dunque, l’epilogo di questo dibattito giurisprudenziale, decisamente cruciale per gli esiti delle domande di concordato in continuità diretta che prevedono la transazione fiscale.