CONCESSIONE VS. REVOCA ABUSIVA DEL CREDITO

L’introduzione dei nuovi obblighi di prudenza imposti a carico degli istituti di credito nella concessione del credito alle imprese ha destato non poche preoccupazioni in capo alle Banche alle quali viene richiesto di operare secondo buona fede onde evitare di aggravare situazioni di dissesto già evidenti, o comunque alla stessa note; in altre parole ha aumentato la possibilità di vedersi muovere l’accusa di aver abusivamente concesso un credito ad un soggetto già in stato di dissesto, aggravandone le conseguenze e rispondendone, perciò, nei confronti dei creditori a titolo di risarcimento del danno.

Di contro, lo stesso legislatore ha inteso cristallizzare la tendenza della giurisprudenza, già più volte espressa, di rompere lo schema che vedeva, nel principio di un percorso di risanamento economico finanziario di un’impresa (oggi spesso coincidente con una procedura “concorsuale”), un ostacolo insormontabile all’accesso al credito.

Secondo la nozione tradizionale, infatti, la concessione abusiva di credito altro non è che l’erogazione di un prestito ad un soggetto che versa in uno stato di dissesto irreversibile. Quando ciò accade, può da un lato verificarsi un ritardo nell’apertura di una procedura concorsuale ai danni del ceto creditorio e, appunto, l’aggravamento dell’entità del dissesto; dall’altro può accadere che tale sostegno induca in errore i terzi ingenerando malriposta fiducia sulla affidabilità di un soggetto non solvibile; eventi, questi, che il nostro ordinamento intende scongiurare.

Con riferimento ad una recente pronuncia del Tribunale di Bologna (sentenza n. 2455 del 17 novembre 2023) la IV Sezione ha escluso la configurabilità del carattere abusivo di un prestito assumendo non sufficiente “che la società finanziata si trovi in uno stato di crisi conosciuto dall’operatore qualificato, ma è anche necessario dimostrare che l’impresa non fosse in condizione di superamento della crisi, perché irreversibile”.

Il Tribunale ha proseguito ravvisando abusività nella concessione di un credito solo laddove effettuata, con dolo o colpa, ad un’impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in assenza di concrete prospettive di superamento della crisi, ove ne discenda un aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività di impresa.

Assume infatti lo stesso Giudice che “Non integra un’abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi di impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione “ex ante”, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito a detti scopi”, richiamando il famoso arresto di cui a Cass. Sez. 1, ordinanza n. 18610 del 30/06/2021).

Sottolinea infatti il Tribunale di Bologna che, diversamente opinando, si darebbe origine ad una speculare, potenziale responsabilità della Banca ravvisabile nella ingiustificata “interruzione del rapporto di concessione del credito senza conclamati indicatori di perdita della continuità”, cioè quella che suole definirsi la rottura brutale del credito, anch’essa ipotesi di illecito.

Così stabilendo in detta occasione il Tribunale di Bologna, ricucendo visibilmente le maglie dell’istituto, ha negato esservi abusività laddove assente – come nel caso che occupava – la scientia decoctionis.

Vi è peraltro da sottolineare che la nuova legislazione in materia di crisi d’impresa e l’introduzione delle nuove procedure concorsuali (con particolare riferimento in questo caso alla composizione negoziata della crisi) ha ridotto l’incentivo delle Banche all’esercizio abusivo del credito, ammettendo invero che la pendenza di una procedura per il risanamento di uno stato di crisi o d’insolvenza non esclude di per sé sola l’esercizio del credito ed anzi vieta, salvo casi eccezionali, la revoca dei prestiti.

L’art. 16 del nuovo CCII infatti, prevede che nel corso della composizione negoziata della crisi la Banca creditrice non solo debba partecipare alle trattative con buona fede “rinforzata”, ma abbia la facoltà di recedere da una linea di credito solo se in ossequio alla disciplina di vigilanza, e mai per il solo fatto che il cliente abbia dato impulso all’apertura della procedura di composizione.

Così che, mentre al di fuori dalla composizione negoziata della crisi è onere del cliente dimostrare la contrarietà a buona fede, cioè l’abuso, del comportamento della Banca che gli revochi le linee di credito, durante la composizione negoziata della crisi stessa, invece, è onere della Banca motivare ex ante per iscritto le ragioni della revoca: revoca che, in tutti i casi, qualora non sia basata su fatti diversi dall’accesso alla composizione negoziata, deve essere quanto meno coerente con la disciplina di vigilanza prudenziale.