LA DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO DI DIVORZIO
L’art. 5, comma 6 della l. n. 898/70 stabilisce che il Tribunale, con la sentenza con cui dispone lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può prevedere l’obbligo di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
Per procedere alla determinazione dell’assegno e, ancor prima, stabilire se uno dei due coniugi abbia diritto a percepire l’assegno di divorzio, si dovranno tenere in considerazione alcuni criteri che sono elencati appunto dal comma 6 in parola, ovvero ed in particolare “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.
Tale ultimo criterio è stato recentemente rivisto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, la quale, pur ribadendo che l’assegno divorzile ha natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, ha però stabilito che “nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase ‘di fatto’ di quella medesima unione e la fase “giuridica” del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio” (Cass. Sez. Un., n.35385/2023).
Tale pronuncia non è altro che la presa di coscienza da parte anche della giurisprudenza che vi è stata una evoluzione nelle regole della società per cui se negli anni ’70 due persone che avevano il desiderio di condividere un progetto in comune di regola contraevano matrimonio, già da molti decenni tale tendenza si è modificata e, dunque, “la convivenza prematrimoniale è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento – nei dati statistici e nella percezione delle persone – dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali”.
Si precisa che con la sentenza in esame non vengono modificati i criteri di determinazione dell’assegno divorzile, per il cui riconoscimento rimane il fatto di avere contratto il matrimonio, ma il Giudice dovrà tenere conto, nell’ambito della solidarietà post coniugale, “anche delle scelte compiute dalla stessa coppia durante la convivenza prematrimoniale, quando emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione, nella quale proprio quelle scelte siano state fatte, e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale”.
Pertanto, dovranno considerarsi vari fattori nel valutare se la convivenza abbia influito sulle scelte di coppia tali per cui tale periodo possa essere computato nella quantificazione dell’assegno di divorzio in favore del coniuge più debole.
Al riguardo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 35385/2023 precisano che “a) la convivenza prematrimoniale rileverà, ai fini patrimoniali che interessano, ove poi consolidatasi nel matrimonio, se assuma “i connotati di stabilità e continuità”, essendo necessario che i conviventi abbiano elaborato ” un progetto ed un modello di vita in comune (analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio)”, dal quale inevitabilmente discendono anche reciproche contribuzioni economiche; b) l’assegno divorzile, nella sua componente compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del nesso causale tra l’accertata sperequazione fra i mezzi economici dei coniugi e il “contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali”, in quanto solo un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari può, invece, giustificare il riconoscimento di un assegno perequativo, tendente a colmare tale squilibrio, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa e versi in situazione di oggettiva impossibilità di procurarseli; c) sarà necessario verificare poi l’effettivo nesso tra le scelte compiute nella fase di convivenza prematrimoniale e quelle compiute nel matrimonio”.
Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha dunque nuovamente rivisitato il diritto di famiglia, adattandolo alla società odierna per quanto concerne l’importante aspetto della verifica dei presupposti volti all’ottenimento dell’assegno di divorzio.