L’AVVOCATO CHE SI DIFENDE DA SOLO HA DIRITTO ALLE SPESE DI LITE?
L’art. 86 c.p.c. statuisce che “la parte o la persona che la rappresenta o assiste, quando ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore”.
L’Avvocato, come consentito dall’art. 15, comma 3 del D.p.r. 115/2002, può esercitare personalmente la propria difesa in giudizio ai sensi dell’art. 86 c.p.c. avendo, di conseguenza, diritto di ricevere le spese di lite, svolgendo una attività di natura professionale che va remunerata.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4698 del 18 febbraio 2019, ha stabilito che “in tema di liquidazione del compenso dovuto all’avvocato, è illegittima la statuizione che escluda il compenso per la fase di trattazione in base alla circostanza che non siano state espletate prove orali e che non sia stata disposta una CTU. Tale statuizione è lesiva dell’art. 4, comma 5, lett. c) del D.M. n. 55/2014, che include nella fase istruttoria una pluralità di attività ulteriori rispetto all’espletamento delle prove orali e di CTU, tra cui anche le richieste di prova e le memorie illustrative o di precisazione ed integrazione delle domande”.
Nel caso esaminato un Avvocato aveva promosso opposizione contro un decreto che negava la giusta liquidazione delle spese e del compenso maturati in un giudizio in cui lo stesso difendeva una parte ammessa al gratuito patrocinio; nonostante l’accoglimento dell’opposizione, il Tribunale aveva deciso, sulle spese del giudizio, “nulla per le spese”, con la motivazione che nel giudizio di opposizione l’Avvocato si fosse difeso in proprio non avendo pertanto diritto al pagamento del compenso.
Il professionista ha così proposto ricorso per Cassazione argomentando che la difesa in proprio non debba escludere la refusione delle spese e la liquidazione dei compensi impugnando, altresì, la quantificazione del compenso effettuata dal Tribunale che ha negato il compenso per l’intera fase istruttoria e di trattazione benché il professionista avesse redatto plurime memorie, erroneamente valutando i diritti e gli onorari previsti per la sua prestazione.
La Suprema Corte ha stabilito che l’attività di difesa svolta nel processo da soggetto abilitato all’esercizio della professione legale ed avente la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, seppure compiuta nel proprio interesse, ha comunque natura professionale e, pertanto, dà diritto alla liquidazione giudiziale secondo la regola della soccombenza, dei compensi per la sua prestazione, dovendo il giudice statuire in merito ai sensi dell’art. 91 e ss. c.p.c. anche senza espressa istanza dell’interessato (Cass. 21 gennaio 2019 n. 1518; Cass. 18 settembre 2008 n. 23847; Cass. 27 agosto 2003 n. 12542); nei giudizi in cui è consentita alla parte la difesa personale è onere dell’interessato che rivesta a qualità di Avvocato, specificare a che titolo intende partecipare al processo in quanto mentre la parte che sta in giudizio personalmente non può chiedere il rimborso delle spese vive sopportate, il legale, se manifesta l’intenzione di operare come difensore di sé stesso ex art. 86 c.p.c. ha diritto alla liquidazione delle spese secondo la tariffa professionale (Cass. 21 gennaio 2019 n. 1518; Cass. 9 luglio 2004 n. 12680).
La circostanza che l’avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 c.p.c. non incide sulla natura professionale dell’attività svolta in proprio favore e, pertanto non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza ed in base ai parametri ministeriali il compenso previsto per la sua prestazione; del resto l’art. 13, comma 1, Legge n. 247/2012 statuisce espressamente che “l’avvocato può esercitare l’incarico professionale anche a proprio favore”.
Ancora di recente la Cassazione, con ordinanza n. 26688 del 18 settembre 2023 ha ulteriormente ribadito che un avvocato che sta in giudizio da solo ha diritto a ricevere onorari e diritti secondo i parametri professionali; tale pronuncia prende le mosse dalla vicenda di un avvocato che, difendendosi da solo, aveva chiesto al Tribunale per i minorenni la liquidazione dei compensi per l’attività difensiva svolta a favore di una parte ammessa al gratuito patrocinio; il Tribunale aveva accolto la sua richiesta non stabilendo nulla però riguardo alle spese di giudizio.
Tale omissione ha comportato la presentazione da parte dell’Avvocato di un ricorso; la Cassazione ha sottolineato che il giudice è tenuto a decidere sulle spese di giudizio anche in assenza di specifica richiesta e se il giudice non regola le spese, ciò costituisce un vizio di omessa pronuncia da correggersi con apposita impugnazione.
La pronuncia sottolinea nuovamente che un avvocato che assuma la difesa di sé stesso, anche semplicemente per ottenere i propri onorari, abbia diritto di ricevere le spese di lite, indipendentemente dal fatto che non abbia sostenuto una effettiva spesa per l’onorario di un altro professionista, svolgendo egli comunque una attività di natura professionale che va remunerata.
Da ultimo preme precisare, in ordine alla possibilità di “difesa personale” da parte dell’Avvocato, che nel processo penale, l’obbligo della difesa tecnica sancito dagli artt. 96 e 97 c.p.p. a tutela di un interesse pubblico in cui sono coinvolti diritti fondamentali, esclude che le parti, anche se abilitate all’esercizio del munus di Avvocato, possano essere difese da se stesse (Cass. pen. 26 luglio 2018 n. 35651).