NOVITÀ IN TEMA DI REDAZIONE DEGLI ATTI PROCESSUALI: LE REGOLE DETTATE DAL D.M. N. 110/2023

Con il decreto del Ministro della Giustizia n. 110/2023 sul “regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo ai sensi dell’articolo 46 delle disposizioni per  l’attuazione del codice di procedura civile“, sono state  introdotte importanti novità, già previste dalla Riforma Cartabia, che ha inteso così favorire il rispetto del principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali, funzionale alla realizzazione del giusto processo, sotto il profilo della sua ragionevole durata.

Il decreto in questione è applicabile ai procedimenti giudiziali che sono stati instaurati dopo il 1° settembre 2023, data che è stata posticipata rispetto all’entrata in vigore che era stata precedentemente indicata al 30 giugno 2023.

Ciò in quanto la diffusione della prima stesura del decreto aveva fatto emergere critiche, che hanno portato ad una revisione dello stesso, soprattutto in riferimento ai limiti massimi dimensionali di lunghezza degli atti giudiziari, che erano stati previsti e che sostanzialmente sono stati raddoppiati, così come è stato esteso lo spazio disponibile per le allegazioni difensive.

Quanto alla lunghezza degli atti processuali, infatti l’art. 3 del D.M. 110/2023, prevede:

– per gli atti di citazione, ricorso, comparsa di risposta e memoria difensiva, atti di intervento e chiamata di terzi, comparse e note conclusionali, nonché per gli atti introduttivi dei giudizi di impugnazione: un limite dimensionale massimo di ottantamila caratteri, che corrispondono circa a 40 pagine;

– per le memorie, repliche e tutti gli altri atti del giudizio, stabilisce: un limite di cinquantamila caratteri, che corrispondono a circa 26 pagine;

– per le note di udienza: un limite di diecimila caratteri, che corrispondono circa 5 pagine.

Si precisa che nel calcolo dei caratteri sono esclusi gli spazi tra una parola e l’altra.

L’art. 4 prevede poi che debbano ritenersi esclusi dai limiti massimi dimensionali alcuni elementi, quali: “l’indice e la sintesi dell’atto; le indicazioni, le dichiarazioni e gli avvertimenti previsti dalla legge; la data e il luogo, le sottoscrizioni delle parti e dei difensori; le relazioni di notifica e le relative richieste e dichiarazioni; i riferimenti giurisprudenziali riportati nelle note”, e il successivo art. 5 prevede altresì che detti limiti possano essere superati in caso di “questioni di particolare complessità”, spiegando sistematicamente il motivo per il quale si è reso necessario appunto il superamento del limite.

Ad ogni buon conto, non pare che tali innovazioni abbiano apportato un drastico cambiamento per gli atti processuali, rispettando la media delle dimensioni che già venivano adottate nella stesura degli stessi nei procedimenti istaurati prima del 1° settembre 2023.

Ciò che invece può dirsi innovativo rispetto al passato riguarda, anzitutto, le tecniche redazionali degli atti, previste dall’art. 6, per cui gli stessi dovranno ora avere una dimensione carattere pari a 12 punti, con interlinea 1,5 e margini orizzontali e verticali di cm 2,5. Peraltro, non sono ammesse note in calce, se non per richiami giurisprudenziali e dottrinali.

Tale struttura persegue l’obiettivo di consentire al Giudice una rapida ed esaustiva rappresentazione dell’oggetto del contendere, che viene perseguito anche tramite la previsione di schemi informatici, richiamati dall’art. 8 e delle specifiche tecniche previste dall’art. 34 del decreto stesso, in ossequio alle regole stabilite per il processo telematico.

In sostanza, l’atto del processo telematico sarà rappresentato da un file in formato PDF privo di elementi attivi, sottoscritto con firma digitale, corredato da un file in formato XML contenente le informazioni strutturate e redatto nei formati previsti dalle specifiche tecniche di cui all’art. 34.

Si fa inoltre presente che una delle novità previste da inserire nell’atto, è data dall’indicazione di massimo venti parole chiave (keywords) che debbono consentire l’individuazione dell’oggetto del giudizio, tramite anche l’inserimento del collegamento ipertestuale agli allegati citati nella parte in fatto dell’atto.

Si specifica che la struttura dell’atto dovrà infatti essere articolata in separate rubriche (fatto e diritto), con precisa qualificazione sulla natura delle eccezioni sollevate, preliminari o pregiudiziali ovvero di diritto sostanziale, e con espresso richiamo alle norme di cui è invocata l’applicazione (o è denunciata la violazione nel caso di impugnazioni).

Il mancato rispetto delle regole previste dal D.M. 110/2023 non prevede esplicite “sanzioni di inammissibilità o invalidità dell’atto”, ma una eventuale ricaduta sulla condanna alle spese, evidentemente a discrezione e caso per caso.

Al riguardo ha destato molto scalpore una prima pronuncia del Giudice di Pace di Verona che, nell’accogliere una richiesta di decreto ingiuntivo, ha deciso di compensare le spese in sede monitoria, in ragione della violazione dei criteri di forma e redazione degli atti giudiziari ex art. 46 disp. att. c.p.c. in riferimento agli art. 6 e 8 D.M. 110/2023 (dimensione caratteri ed interlinea) da parte del ricorrente stesso.

Ed ancora, in data 13 ottobre 2023 il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile un ricorso per superamento del numero massimo dei caratteri consentiti per proporre appello, con sentenza n. 8928/2023, affermando che il Giudice non ha la facoltà di esaminare le questioni che si trovano oltre il limite massimo di pagine; peraltro sempre con una recente pronuncia ha chiarito che “il superamento dei limiti dimensionali è questione di rito afferente all’ordine pubblico processuale, stabilito in funzione dell’interesse pubblico all’ordinato, efficiente e celere svolgimento dei giudizi, ed è rilevabile d’ufficio a prescindere da eccezioni di parte. Il rigoroso rispetto dei limiti dimensionali costituisce attuazione del fondamentale principio di sinteticità (art. 3 c.p.a.), a sua volta ispirato ai canoni di economia processuale e celerità” (Consiglio di Stato, sentenza n. 8487/2023).

Tali decisioni hanno mobilitato l’Organismo Congressuale Forense, che ha richiesto l’abrogazione, ovvero la sostanziale modifica delle previsioni contenute nell’art. 46, commi quarto e quinto, disp. att. c.p.c..

Da ultimo si fa un breve cenno al fatto che i criteri prescritti per gli atti di parte dovranno essere rispettati anche dai Giudici nella redazione dei provvedimenti.