L’… ECLISSI DEL “NUCLEO FAMILIARE” NELLE AGEVOLAZIONI PER LA PRIMA CASA: PRECEDENTE INNOVATIVO OD INCENTIVO AD EVADERE?

La Corte Costituzionale (Sent. n. 209 del 13 ottobre 2022), con una pronuncia che taluni riterranno di straordinario pregio socio-giuridico, talaltri foriera di importanti vantaggi per gli elusori fiscali, si è espressa sulla legittimità dell’art. 13, comma 2, IV e V periodo, del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il  consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  22 dicembre 2011, n.  214, come modificato dall’art.  1, comma 707, lettera  b),  della  legge  27  dicembre  2013,  n.   147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di  stabilità  2014)», dichiarandone l’illegittimità nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare, nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro Comune.

La vicenda sottoposta al vaglio della Consulta trae origine da un caso di duplice imposizione ad opera del Comune di Napoli nei confronti di tale M.M., cui veniva richiesto di pagare l’imposta municipale propria sia in relazione ad un immobile, sito nel Comune di Napoli, nel quale lo stesso risultava residente, che in un altro immobile, sito nel Comune di Scanno (Salerno), nel quale invece risultava residente il suo nucleo familiare.

A detta della Commissione Tributaria Provinciale infatti – che ha rimesso poi la questione al vaglio della Consulta – la circostanza che sarebbe risultato preclusivo all’ottenimento del beneficio “il solo fatto che un componente della famiglia risieda in un altro Comune”, avrebbe colliso con i dettati Costituzionali di cui agli artt. 3, 31 e 53, in quanto non solo avrebbe determinato un’ingiusta disparità di trattamento fondata su un dato geografico a parità di situazione sostanziale, ma avrebbe altresì leso i principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, sfavorendo le formazioni familiari protette dall’art. 31 Cost..

Si rende necessario premettere – infatti – che prima che intervenisse la pronuncia in esame, due coniugi non separati legalmente che avessero avuto quale propria abitazione due immobili differenti, avrebbero avuto diritto all’agevolazione solo per l’immobile costituente contestualmente dimora abituale e residenza anagrafica dei familiari, requisiti questi, entrambi necessari per beneficiare dell’agevolazione de quo; seguendo detto orientamento, addirittura la Suprema Corte aveva finito per negare l’agevolazione Imu in taluni casi su entrambi gli immobili, qualora nessuno dei due potesse in effetti rappresentare la dimora familiare abituale (Cfr. e multis Cass. n. 1199/22).

Dunque, ed in altre parole, due coniugi residenti in due immobili diversi – verosimilmente per ragioni di carattere lavorativo – nel medesimo Comune ovvero in Comuni diversi, avrebbero potuto beneficiare dell’esenzione del pagamento dell’IMU solo “per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare”, scegliendo uno tra i due immobili che avrebbe soddisfatto detti requisiti.

Con la pronuncia in esame, che si pone dunque – come precedentemente anticipato – in netto contrasto con l’orientamento giurisprudenziale consolidato, la Corte rileva, attraverso un ragionamento di cui è apprezzabile la coerenza con i tempi correnti, che in un contesto come quello attuale, caratterizzato dall’aumento della mobilità del mercato del lavoro, nonché dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio od in unione civile concordino di vivere separatamente, magari ricongiungendosi nel fine settimana o periodicamente, pur mantenendo una stabile comunione affettiva e spirituale.

Rileva la Corte che la norma censurata – subordinando l’ottenimento dell’agevolazione sull’abitazione principale alla circostanza che la stessa sia contestualmente residenza anagrafica e dimora abituale del possessore e del nucleo familiare – agevolerebbe in un certo senso la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi e la disgregazione del nucleo familiare, in spregio al dettato di cui all’art. 31 Cost., incentivando la separazione proprio per ottenere l’agevolazione.

Dichiara, infine, la norma contraria all’art. 53 Cost. essendo l’IMU un’imposta reale e non soggettiva, per accertare l’applicabilità della quale, seppur rilevino parametri come la destinazione dell’immobile e la sua natura, deve escludersi il riferimento a criteri di carattere personale come appunto il rapporto tra il contribuente ed il suo nucleo familiare.

Precisa infine la Corte – volendo certamente anticipare le critiche che sarebbero state mosse avverso detta pronuncia, e che infatti hanno fatto puntualmente seguito – che la norma in esame non rinverrebbe le proprie ragioni d’essere neppure in logiche antielusive (ovvero atte a scongiurare il rischio che si elegga prima casa un immobile accessorio) visto che – sempre a detta dei Giudici – i Comuni dispongono di sistemi efficaci per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui anche l’accesso ai dati relativi alla somministrazione delle utenze.

La declaratoria di incostituzionalità della normativa in esame ha condotto la Consulta alla conseguente caducazione dell’art. 1, comma 741 lettera b), primo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), nella parte in cui stabilisce: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, anziché: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”, eliminando quindi definitivamente dal concetto di abitazione principale l’(obsoleto) riferimento al nucleo familiare.

Si precisa infine, solo per completezza, che in base alle disposizioni contenute nel comma 164 dell’art. 1, legge n. 296/2006, i contribuenti che hanno versato spontaneamente l’IMU nelle ipotesi di cui sopra, ove dimostrino che l’immobile di residenza anagrafica sia anche la propria dimora abituale, potranno chiedere il rimborso delle somme versate e non dovute entro il termine di cinque anni dal giorno in cui è stato accertato il diritto alla restituzione, ovvero, con un calcolo a ritroso, retrocedendo a partire dalla data successiva alla pubblicazione della Sentenza presso la Cancelleria della Corte Costituzionale.

Di contro, per gli importi contenuti negli avvisi di accertamento notificati e divenuti definitivi per mancata impugnazione nei termini, siano essi pagati o non pagati, gli stessi devono dirsi esclusi dagli effetti della pronuncia della consulta (Cfr. Cass. n. 969/16), ferma restando la facoltà discrezionale in capo all’Ente, nell’ottica comunque dell’osservanza del principio di trasparenza e buona amministrazione, di ravvedersi in autotutela su istanza del contribuente che dimostri la ricorrenza dei relativi presupposti.